A piazza Navona poco coraggio pochissimi laici
13 Maggio 2007
Che l’aria non fosse quella di una grande adunata di popolo, lo si era capito fin dal primo momento, con piazza Navona praticamente vuota a meno di un’ora dal fischio d’inizio, nonostante lo strategico ingombro delle fontane e delle attrezzature tecniche. I primi striscioni adagiati sull’asfalto lasciavano intuire quale sarebbe stato il tono della giornata, un uomo abbronzato montava bestemmiando lo stand con le magliette inneggianti a Lenin, Stalin e alla cannabis, i turisti di passaggio si chiedevano cosa fosse tutta quella confusione. Di certo non avrebbero immaginato che di lì a poco avrebbe avuto luogo una kermesse con l’ambizione di competere con piazza San Giovanni (a quell’ora già stracolma), finché alle 14:45 una voce stizzita, dal palco, ha contestato le radio che iniziavano a segnalare lo scarso afflusso.
“La manifestazione è prevista per le 16”, ha detto il nervoso e anonimo speaker. Bastava collegarsi al sito della Rosa nel Pugno per scoprire che non era affatto vero, e di certo lo sapevano Rita Bernardini e Sergio D’Elia, che attorno alle 15 contemplavano la piazza semi-deserta con un’espressione che tradiva qualche preoccupazione. Poco più in là, per calmare il figlio infastidito dalla musica troppo alta, una madre iniziava a spiegare: “Allora, la manifestazione serve a far capire che ci sono tante forme di famiglia…”. E il piccolo: “Ho capito, non serve che me lo ripeti ancora un’altra volta!”. A ripeterlo, di lì a poco ci avrebbero pensato gli esponenti politici e istituzionali accorsi sul palco di “Coraggio Laico”, tra bandiere di partito (tante, spesso rosse), striscioni contro la Chiesa (come “Benedetto XVI… secolo” o “libera nos a clero”) e manifesti polemici nei confronti dei Ds e in particolare del sindaco di Roma (“Caro Veltroni, Gandhi e Martin Luther King sarebbero stati qui oggi”, firmato federazione romana dello Sdi).
Alle 15:30 (orario ufficiale della manifestazione) diventa lecito parlare di flop, tant’è che ad aprire le danze Alessandro Cecchi Paone provvede dopo oltre mezz’ora, cercando di galvanizzare i presenti prendendosela ora con “gli ipocriti e i neodemocristiani del Partito democratico”, ora con la piazza (San Giovanni, naturalmente) “dei fascisti e dei clericali”, ora con chi combatte il relativismo, perché “il relativismo culturale – dice il conduttore – è solo un altro nome dell’unica religione che ci interessa, la religione della libertà”. Fino a chiedere l’abolizione del concordato, la cancellazione dei finanziamenti alle scuole cattoliche, e persino un’indagine parlamentare per sapere se l’otto per mille sia servito a finanziare il Family day.
E meno male che a detta dei promotori, ovvero Rosa nel Pugno, Sdi e Radicali, “Coraggio Laico” doveva essere “la piazza dell’inclusione”. Come numeri ha incluso davvero poco, se nel tardo pomeriggio gli organizzatori, ottimisti per definizione, hanno parlato di 10-12mila presenze (fatta la dovuta tara, considerato l’afflusso medio in piazza Navona di sabato pomeriggio). Quanto ai contenuti, i numerosi oratori che si sono susseguiti sul palco fra un’esibizione musicale e l’altra non si sono discostati dal prevedibile canovaccio: “Siamo determinati ad avere un Paese più maturo” (Emma Bonino), “qui le famiglie sono tutte uguali” (Enrico Boselli), “sulla famiglia si costruisce una bolla ideologica” (Franco Giordano), “quello che vuole la destra italiana è lo stato etico, inizio di tutti i totalitarismi” (Ugo Intini), “la Chiesa rispetti il Concordato oppure va sciolto” (Bobo Craxi), e via di questo passo.
Contestatissimi i Ds, assenti da piazza Navona eccezion fatta per Luigi Manconi e per una delegazione giovanile, contestato Veltroni per non essersi presentato e aver fornito ai partecipanti al Family day bottiglie d’acqua come ad ogni grande evento; contestata Barbara Pollastrini, che a piazza Navona ha inviato una missiva accolta con sarcasmo; contestata Rosy Bindi, che dopo aver passato settimane a spiegare che per lei i Dico riconoscono i diritti individuali ma non le coppie di fatto come famiglie di serie B, dovrà ora fare i conti con una piazza che per un intero pomeriggio ha sostenuto il contrario, attribuendo lo status di “famiglia” a qualsiasi rapporto affettivo.
Se fra i più applauditi si segnala Andrea Rivera, l’ “eroe” del primo maggio, una menzione speciale va ad Alfonso Pecoraro Scanio e Katia Belillo. I quali, mentre sul palco si celebrava il tripudio delle “famiglie plurali”, hanno avuto il coraggio di appellarsi alla Costituzione per dar senso alla loro presenza. Il leader dei Verdi ha ricordato il suo giuramento ministeriale su una Carta costituzionale “laica”, la Belillo ha fatto di meglio: “Ho deciso di non sposarmi – ha detto – e di mettere al mondo due figlie. Cara Bindi, è questa la famiglia della Costituzione, perché è la mia famiglia!”. Che si sappia: da oggi l’articolo 29 della nostra Carta prevede che la famiglia non sia più quella fondata sul matrimonio, ma quella della Belillo.
Quanto al significato politico della giornata, due gli aspetti che balzano all’occhio. Da un lato le crescenti difficoltà e le insanabili contraddizioni con cui il Partito democratico si troverà a confrontarsi. Dall’altro la comparsa sulla scena dell’unico esponente politico che in una giornata di violenza verbale e intolleranza ideologica ha saputo sfoderare la statura del leader, sottraendosi alla retorica del “contro”: Fabio Mussi. Ed è un peccato che tra tanti slogan irriverenti ma vuoti di contenuti, sia stato proprio l’ex diesse, mansueto e rassicurante come nessun altro, a lanciare il messaggio più insidioso ambiguo di tutti, negando l’esistenza di un diritto naturale e definendo la società umana come “figlia di una costruzione culturale”.