A proposito di Osama

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A proposito di Osama

30 Settembre 2007

Esiste, per fortuna, l’eterogenesi dei fini. Bruce Lawrence ha avuto l’idea di presentare al pubblico occidentale una silloge di tutti gli interventi pubblici di Osama bin Laden, silloge che viene edita adesso anche sul mercato italiano (Messaggi al mondo. La prima analisi completa delle dichiarazioni di Osama bin Laden in interviste, lettere, comunicati via internet, registrazioni audio e video, a cura di Bruce Lawrence, Fandango libri, Roma 2007, pp. 460, € 22,00). Nel condurre a termine questa fatica, però, Lawrence non è stato guidato da un intento puramente documentario, cioè offrire anche a chi non possiede i bei segreti della lingua araba la possibilità di conoscere cosa veramente dice lo sceicco del terrore, ma è stato mosso da un intento, neanche tanto sottilmente, apologetico. A suo avviso, infatti, le azioni criminali del miliardario saudita si spiegherebbero, in gran parte, come una reazione agli “abusi dell’Occidente”. Da qui la necessità di capire le ragioni di un uomo che tanto in occidente che nel mondo arabo sarebbe “diventato una figura leggendaria”.

Inutile dire che lo scopo raggiunto è del tutto opposto all’apologia o anche alla comprensione simpatetica. Basta leggere poche pagine di questo volume per fugare ogni dubbio. Le analisi e i ragionamenti di bin Laden sono un concentrato di assurdità difficilmente superabile. Il livello di comprensione della realtà che questi scritti rivelano è, per adoperare un cauto eufemismo, largamente deficiente. Più che tentare di interpretare gli avvenimenti bin Laden proietta su di essi un informe delirio paranoide, nel quale mal riusciti conati di analisi economica e sociale si mescolano a richiami pseudoreligiosi. Per quanti sforzi si facciano la lettura risulta assai faticosa, oltre che decisamente sgradevole. Così si va avanti a stento fra i paralogismi, le petizioni di principio errate, gli strampalati riferimenti storici. Anche chi, come lo scrivente, non è particolarmente ferrato in teologia musulmana si rende conto ben presto che ci troviamo di fronte a una interpretazione dell’islam decisamente caricaturale; torna alla mente una battuta di Bernard Lewis: “somiglia alla interpretazione del cristianesimo data dal Ku Klux Klan”.

Tuttavia, a dispetto delle intenzioni del curatore, la lettura di questo libro può risultare utile perché offre importanti elementi di riflessione, soprattutto se la si assortisce a quella di un’altra antologia molto più lodevole, perché criticamente orientata, pubblicata lo scorso anno (Al-Qaeda. I testi, presentati da Gilles Kepel, Laterza, Bari-Roma 2006 pp. XIV-350, € 16,00). Anzitutto, documentarsi di prima mano sulla propaganda degli alqaedisti aiuta a dare una definizione complessiva del fenomeno. Per inquadrare la cieca violenza islamista parlare di terrorismo risulta del tutto insufficiente. In molti casi il terrorismo, pur facendo uso di mezzi ripugnanti e moralmente squalificanti, si è presentato come una forma estrema di pressione politica. Un tipo di violenza, insomma, che pone obiettivi, almeno in parte, negoziabili. Qui ci troviamo di fronte a qualcosa di diverso, che ha come scopo finale la sottomissione dell’intero orbe terracqueo a una interpretazione paranoide e violenta dell’islam. Volendo tentare una primo inquadramento possiamo dire che bin Laden e soci sono un caso di delinquenza fanatica a base pseudopolitica che si colloca a metà strada fra la mafia e il nazismo.

Questa considerazione introduce a un secondo motivo di riflessione. Il dialogo con l’Islam viene invocato da più parti come una necessità ineludibile. Tuttavia si ha l’impressione che non sempre risultino chiari i termini nei quali questo dialogo dovrebbe svolgersi. Molto spesso, invece, l’invito al dialogo con il mondo musulmano è un modo per promuovere surrettiziamente un improprio mea culpa della civiltà occidentale, che, nel corso di molti secoli, si sarebbe resa colpevole di inenarrabili nefandezze. La violenza islamista, allora, non sarebbe altro che una sorta di inevitabile, e tutto sommato meritata, nemesi storica. La lettura dei discorsi e degli appelli di bin Laden offre una smentita irrefutabile a questo terzomondismo colpevolista, perché da essa risalta chiaramente il carattere aggressivo e non reattivo del nichilismo islamista. Gli attentati non dipendono da questa o quella scelta politica dei paesi occidentali, ma discendono da una condanna preconcetta di tutto quello che non è assimilabile alla loro ossessiva visione del mondo. Non casualmente la maggior parte delle vittime di al-Qaeda sono musulmani. In conclusione, solo abbandonando una visione caricaturale dei processi storici che hanno portato allo sviluppo del mondo moderno ci si può confrontare serenamente con il variegato e composito mondo musulmano. In questa prospettiva, un giudizio netto e non giustificazionista su bin Laden e soci è forse la migliore premessa per un dialogo con l’Islam che risulti produttivo.