A Roma il centrodestra è nato ed è finito

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A Roma il centrodestra è nato ed è finito

18 Marzo 2016

Game over, fine corsa. L’attuale Centrodestra nacque, più o meno, venti anni fa proprio a Roma con l’endorsement di Berlusconi nei confronti di Fini indicato come suo candidato sindaco ideale. Vinse Rutelli con la macchina politica dell’ex PCI alle spalle. La fine degli equilibri di Yalta, il crollo del muro di Berlino e Tangentopoli avevano cambiato il mondo e il nostro paese. Perse Fini, il quale, titubante, non voleva scendere in campo, ma nacque il Centrodestra. Un Centrodestra aperto e includente.

 

Forza Italia riuniva al proprio interno uomini del vecchio pentapartito e personalità provenienti dalla società civile, il Movimento Sociale si trasformò in Alleanza Nazionale diventando un partito all’interno del quale si trovavano ex DC, ex socialisti e non solo. La Lega nasceva sulla spinta di una società civile del Nord insofferente verso un sistema fiscale avvertito come vessatorio. Comunque, le cifre della nascita del Centrodestra italiano, uno schieramento politico che non esisteva, furono la capacità catalizzatrice di Berlusconi e un dialogo serrato con una società civile che in tutte le sue articolazioni voleva un profondo rinnovamento del sistema Italia.

 

Oggi a Roma, dove nacque, quel Centrodestra, quella alleanza elettorale, forse mai divenuta schieramento politico, sta consumando il suo ultimo atto. Dei protagonisti di una volta è rimasto solo lui, Berlusconi. Bossi e Fini sono, di fatto, scomparsi tra errori, scandali e drammatici problemi di salute. Oggi abbiamo la Meloni e Salvini. Ma ciò che più conta, al netto dei protagonisti di questa stagione, è che questa coda del vecchio Centrodestra offre di sé uno spettacolo deprimente.

 

Dopo una serie di insuccessi clamorosi in ogni ordine di elezione, con milioni e milioni di voti in libera uscita, non si è avuta la minima capacità di interrogarsi su quanto accaduto, non c’è stata la minima volontà di ristabilire un rapporto costruttivo con la società civile rimettendosi in discussione, comprendendo che il mondo è radicalmente cambiato. La candidatura della Meloni a Roma, purtroppo, rompe i vecchi schemi in peggio. Perché propone una scelta unilaterale, peraltro dopo aver condiviso l’accordo per Bertolaso, senza avere alcun respiro strategico.

 

Una candidatura di minoranza che non solo rompe con i suoi alleati storici, ma neanche propone una capacità di dialogo serio con chi si contrappone alla sinistra. Anzi, è stata proprio la Meloni a mettere il veto su Marchini, bloccando ogni possibilità di sviluppare una alleanza maggioritaria. Insomma, detto chiaramente, una candidatura a perdere che probabilmente non arriverà neanche al ballottaggio, che lesiona irreversibilmente i rapporti con FI e non costruisce nulla in prospettiva. Una candidatura per cercare di gestire al meglio, ad uso e consumo di FDI, la sconfitta, garantendo due o tre consiglieri comunali e qualche consigliere munipale.

 

Poco importa se questa mossa non costruisce nulla e produce solo macerie, poco importa se molto probabilmente si sarà responsabili del peggior risultato del Centrodestra a Roma dal 1994. Le urla oramai coprono ogni ragionamento sensato e mentre si cade nel baratro invece di cercare un appiglio o almeno chiedersi come è potuto accadere, si dichiara al mondo intero che ci si sta preparando a volare. La terra sa essere molto dura.