A Sarkò piace il piano di Obama, ma dice no a più truppe in Afghanistan

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A Sarkò piace il piano di Obama, ma dice no a più truppe in Afghanistan

04 Aprile 2009

Agenda fittissima per i capi di Stato e di governo in questi giorni. Dopo il G20 appena concluso a Londra, ieri è stato il giorno della NATO. Un altro ambito, altri i dossier da affrontare. Nessun sistema economico e finanziario da riformare, bensì vecchi e nuovi problemi (più vecchi a dire il vero), che i 28 paesi membri dell’Alleanza si trovano a maneggiare. 

La Francia, che ospita il summit di Strasburgo-Kehl assieme alla Germania, volta pagina e esce dal suo tipico eccezionalismo per volontà del suo presidente.

Sarkozy mette fine alla stanca politica post-gollista (di cui Chirac è stato supremo interprete) del “dentro ma fuori”, apprestandosi a far rientrare il suo paese nel comando integrato della NATO, abbandonato in seguito alla decisione del generale De Gaulle, nel lontano 1966, di mettere Parigi in una posizione di cuscinetto tra le due blocchi. Le ragioni di quella scelta, radicate profondamente nella cultura nazionalistica e anti-anglosassone del fondatore della quinta repubblica francese, si dimostrano oggi di corto respiro e sostanzialmente obsolete. Di quell’illusione gollista oggi resta solo un amaro ricordo: investire, perire e non poter dare il proprio contributo alla definizione delle regole, non è “generalmente” un buon affare.

L’11 marzo scorso, presso l’Ecole Militaire di Parigi, Sarkozy ha ben messo in evidenza le ragioni profonde del ritorno della Francia in seno alle strutture integrate NATO. Per l’uomo della rottura, mantenere il suo paese fuori dalla stanza dei bottoni dell’Alleanza Atlantica, ”non ha più senso’. Pagare lo stesso prezzo politico-militare degli altri alleati NATO senza poter contribuire alla definizione della sua politica non è saggio, e Sarkozy lo sa, anche se questo vuol dire indispettire settori della maggioranza all’Assemblée Nationale e gran parte dell’opposizione. 

La Francia ritorna “dentro” dunque, tutti d’accordo. Ma cosa chiede l’Eliseo? Come si muoverà? Quali i temi sul tavolo per i ventotto membri dell’Alleanza in questo summit storico? 

Per cominciare, ieri é stato il giorno di Barack Obama, per la prima volta in Francia nelle vesti di Presidente USA. Eccolo allora con Sarkozy nel bel mezzo dell’Alsazia per un incontro privato. Due i fronti aperti nel colloquio. Il primo è il ruolo dei paesi europei nelle strutture integrate NATO. Pare che Sarkozy stia cercando di ottenere da Obama una maggiore autonomia decisionale europea all’interno dell’Alleanza Atlantica. In seconda istanza, i dossier caldi e ancora aperti: Afghanistan, i rapporti con la Russia e ancora il programma nucleare iraniano e lotta al terrorismo. 

Perché certi nodi venissero sciolti, le due diplomazie hanno optato per un colloquio bilaterale, prima che ”l’ammucchiata” a ventotto avesse inizio. Baci, abbracci, rispettive belle mogli sorridenti, ma alcuni punti di frizione tra i due rimangono. La nuova strategia della Casa Bianca in Afghanistan piace a Sarkozy, ma di nuove truppe francesi neanche l’ombra. Il presidente francese si é detto disponibile a mettere a disposizione nuovo personale civile, qualche quadro amministrativo per formare i vertici del debole Stato afghano, qualche milione di euro come aiuto economico, e poco altro. Sarkozy ha affermato che gli europei hanno già assunto maggiori impegni in Afghanistan sul piano militare.  

Dal 2003, le truppe della NATO, impegnate nel quadro della missione ISAF, affrontano una pace ancora da vincere. I talebani non sono stati annientati, bensì solo allontanati (oggi neppure tanto) da Kabul, e concentrati nella regione pachistana del Waziristan, al confine con l’Afghanistan, ove si sono potuti riorganizzare, grazie anche ad una distratta gestione da parte della amministrazione Bush, impegnata nello scottante teatro iracheno, e al doppio gioco di certi ambienti pachistani, che hanno offerto armi e sostegno logistico ai talebani. Da par suo, Obama intende bonificare il Pakistan, dove teme una deriva islamista. Il presidente americano vuole stringere sul doppio e al contempo unico fronte afghano-pachistano (si ricorderà il discorso di Obama al debole presidente pachistano Ali Zardari). La lotta al terrorismo, nella strategia del nuovo inquilino della Casa Bianca, passa proprio per la sconfitta definitiva dei talebani attraverso una nuova strategia militare sul campo. Obama ha anche messo in guardia gli europei: il terrorismo internazionale non è un solo affare statunitense, anzi esso può colpire più facilmente l’Europa, geograficamente più esposta.  

I due capi di Stato hanno avuto modo di esprimersi anche sui rapporti con Mosca. Obama si é detto soddisfatto per l’incontro (definito terrific) avuto con il presidente russo Medvedev al margine del G20, pur non celando il suo disappunto sullo stato dell’arte della questione georgiana, rimasta sostanzialmente insoluta dall’Agosto scorso. Entrambi si sono poi detti convinti della necessità di coinvolgere maggiormente la Russia sul dossier iraniano. Obama ha ribadito apertamente il suo punto di vista nei confronti di Teheran: avanti con il nucleare civile, ma niente arsenale atomico.

In definitiva, al vertice di Strasburgo-Kehl, gli Stati Uniti troveranno poche truppe e non molti fondi in più per l’Afghanistan da parte degli europei. Per ora, fonti vicine al governo britannico di Gordon Brown, riportano che finora solo Londra è al fianco di Washington nell’invio di ulteriori mezzi e uomini. Nella tarda serata di ieri, come se non bastasse, i ventotto si erano già arenati sulle candidature per la carica di Segretario Generale della NATO, visto che il mandato dell’olandese Jaap de Hoop Scheffer si appresta ormai al termine. Il candidato della Germania, l’ex primo ministro danese, Andres Fogh Rassmussen, ha infatti subito il veto della Turchia di Erdogan per le posizioni assunte dal leader danese in difesa della libertà di espressione in occasione dello “scandalo” delle famose vignette su l profeta Maometto. Insomma, a Strasburgo-Kehl, c’è il serio rischio che la coesione politica dell’Alleanza, indispensabile per affrontare le numerose sfide che riguardano la NATO, Afghanistan in primo luogo, venga ancora a mancare.