A Strasburgo c’è chi lavora alla balcanizzazione dell’Europa

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A Strasburgo c’è chi lavora alla balcanizzazione dell’Europa

11 Aprile 2011

Per quanto possa sembrare assurdo e paradossale, mentre ci stiamo baloccando con le guerricciole interne, alle porte di casa nostra prendono corpo inquietanti tragedie che, se non governate, rischiano di travolgerci. Fa specie, infatti, che nel momento in cui assistiamo all’incendio che si propaga dalla sponda meridionale del Mediterraneo e coinvolge il nostro Paese, la classe politica non trovi di meglio da fare che lacerarsi su questioni di minima importanza oppure usare la crisi internazionale come strumento di lotta tra fazioni. Deprimente.

La dice lunga sullo stato di decomposizione della democrazia italiana l’irresponsabile atteggiamento di chi si nutre quotidianamente di contumelie ed aggressioni tanto per legittimare se stesso, ignorando quanto si profila sui nostri destini e, soprattutto le ombre sinistre che s’allungano sull’Europa dovute all’impreparazione, all’inettitudine, alla malafede della classi dirigenti dell’Unione nell’affrontare adeguatamente ciò che rischia di travolgerci.

I balbettii che in materia si odono a Roma come a Bruxelles, a Parigi e a Berlino, a Londra e a Madrid, dimostrano che dopo decenni di retorica comunitaria, sfociati nel risibile Trattato di Lisbona, privo di principi ispiratori e contraddittorio sulle strutture organizzative dell’Unione europea, peraltro priva di una seria e coerente politica di difesa e di sicurezza, quel che abbiamo davanti è la drammatica caricatura degli antichi nazionalismi. Gli egoismi più gretti sono riapparsi dal retrobottega della storia per darsi battaglia sul corpo lacerato di quella stessa Europa che si voleva coesa e finalmente attrice attiva sullo scenario internazionale. Davanti a noi non abbiamo una comunità di popoli, ma un’arena dove il libero mercato si è tradotto nell’arbitrio degli Stati nel darsi battaglia per i più gretti motivi, come non accadeva neppure prima del Secondo conflitto mondiale. Non era questa la nuova Europa che immaginavano gli europeisti che posero le fondamenta dell’unità continentale dopo la "guerra civile" che squassò il Vecchio Continente.

La crisi mediterranea ha fatto deflagrare conflitti latenti e sempre sopiti in ragione di logiche mercantili ed economiche prevalenti. E quando, improvvisamente, la politica ha fatto irruzione nelle cancellerie europee sono tornati antichi fantasmi a turbare i sonni di politicanti inetti che non hanno saputo guardare oltre i loro angusti orizzonti.

Perciò, di fronte alle ondate migratorie, gestite malissimo, ed al rischio concreto che le contorsioni geopolitiche facciano esplodere i rapporti già precari tra le nazioni, è concreto il pericolo che si materializzi la balcanizzazione del Vecchio Continente. Pericolo che dovrebbe indurre coloro che fanno parte dell’Unione al recupero di un minimo di ragionevolezza allo scopo di trovare un sostenibile accordo nel fronteggiare tanto l’imponente flusso migratorio quanto l’identità stessa continentale smarrita. La piccola politica, insomma, non serve più: anzi, al cospetto dei danni che ha prodotto, sarebbe bene che la si archiviasse senza indugio. E gli Stati più responsabili, di conseguenza, dovrebbero domandarsi quale politica può essere funzionale a ristabilire rapporti che consentano di affrontare quella che nei prossimi anni si presenterà come una vera e propria lotta per la sopravvivenza.

I migranti, per quanto numerosi arrivati in Italia in questi mesi, fanno ridere se si pensa alle masse che potrebbero giungere dall’Africa e dall’Asia nei prossimi anni in un’Europa che ha rinunciato ad elaborare una politica demografica, preferendo concentrarsi sulla meshina conservazione dell’esistente che sarà travolto dai nuovi ingressi.

“Regressione delle nascite, morte dei popoli”, era il titolo di un libro che alla metà degli anni Venti dello scorso secolo fece scalpore in Europa. Lo scrisse un giovane studioso spengleriano, Richard Korherr, che mise i suoi contemporanei davanti al loro destino: l’esaurimento spirituale di una civiltà che, rinunciando a procreare, avrebbe visto il vuoto colmato dai cosiddetti “popoli giovani” e fecondi, desiderosi di impadronirsi di ciò che gli occidentali lasciavano morire.

Affrontare tematiche del genere con gli “statisti” che affollano gli schermi televisivi, mi rendo conto che è un’impresa disperata. Ma se non si capisce che al cospetto di un’invasione come quella che si prospetta non si possono chiudere occhi e frontiere di cartapesta lasciando ai più esposti l’onere dell’impossibile difesa del Continente, i risultati saranno devastanti.

Perciò i Paesi dell’Ue che ostentano indifferenza davanti ad una crisi umanitaria e ad una rottura geopolitica come quelle che si stanno producendo nel bacino mediterraneo, condannano se stessi al suicidio ed affossano definitivamente la prospettiva di costruire un’unità di popoli e di Stati in grado non solo di sopravvivere, ma soprattutto di ricomporre un’entità politica che possa affrontare le grandi crisi di civiltà che connoteranno il questo secolo.

Mentre il fronte anglo-franco-tedesco ritiene di poter menare le danze in Europa, stringendo una miope alleanza sostanzialmente contro l’Italia lasciata sola, dalla sponda sud del Mediterraneo si stanno muovendo falangi di disperati che in tutti modi cercheranno di faranno valere la loro forza. Come si comporteranno Cameron, Sarkozy, Merkel e compagnia cantante? Spareranno su chiunque voglia “sfondare” le loro frontiere? E’ follia soltanto pensarlo. Se l’Europa ha ancora un senso lo dimostri, senza che suoi membri si arrocchino nell’inutile difesa del loro egoismo: vi sono fenomeni, come l’immigrazione, che non possono essere respinti facendo finta che riguardino altri.

Dovrebbero esserne consapevoli soprattutto i politici italiani che in questi giorni di tormenti europei se le danno come fabbri imbestialiti. Offrono al mondo la loro miseria su questioni assolutamente inessenziali ai destini del Paese e dell’Occidente. Ma tant’è. Dobbiamo rassegnarci. Questa settimana, quando fuori dalle aule parlamentari si acuiranno i problemi richiamati, i moribondi di Montecitorio manderanno in onda (anche nel senso di diretta televisiva) il solito squallido show che abbiamo visto tante volte, nel tentativo di impedire l’approvazione di una legge voluta dalla maggioranza. Di questa miseria dovremo purtroppo occuparci, mentre le nostre frontiere tremano sotto l’onda dell’urto che viene dall’Africa. Ognuno ha quel che si merita. Ma c’è un limite a tutto. E credo, francamente, che sia stato abbondantemente superato.