A te e famiglia
25 Dicembre 2020
Questo Natale non è “meno” Natale. Soprattutto per chi crede, ma non solo. Epperò la retorica del “Natale più vero”, del “Natale libero dalla schiavitù del consumismo” bisognerebbe evitarla se per consumismo si intende quel minimo di economia e di socialità la cui mancanza, lungi dal pesare sulla dimensione dell’effimero, si traduce nella privazione non soltanto della traduzione corporea della catena degli affetti, ma anche di quel diritto al lavoro di cui pure i cantori dell’essenzialità si riempiono assai stesso la bocca. “Essenziale per chi”, bisogna insomma chiedersi.
E’ così che quest’anno, tanto in termini concreti quanto sul piano immateriale, ci siamo trovati a rimpiangere quei rituali che per molto tempo in troppi avevano liquidato con sufficienza.
Sembrano trascorsi anni luce da quando in questo periodo ci sentivamo tutti un po’ (piacevolmente) stressati. Sembrava che con le feste dovesse finire il mondo e al lavoro ci si affannava a smaltire tutti i sospesi, salvo poi ricominciare dopo qualche giorno e scoprire che tutto era come prima, il mondo non era finito e nulla era cambiato.
Puntualmente ci ripromettevamo di fare i regali per tempo, prima che i negozi si affollassero e la discesa di Babbo Natale si avvicinasse, e puntualmente ci trovavamo all’ultimo momento a fare lo slalom carichi di pacchi come se non ci fosse un domani. Giallo, rosso e arancione erano soltanto alcuni dei colori fra cui scegliere per addobbare la tavola imbandita, e non il semaforo delle proibizioni.
Lo Stato italiano – e qui la costante è rimasta tale – ha sempre dato il meglio di sé, quindi le scadenze si sono sempre sprecate e se qualche articolazione della Gestapo ha una contestazione da inviarti, con termini draconiani, se ne ricorda giusto quando avvocati e commercialisti sono fuori a santificare le feste. Stavolta lo abbiamo notato meno perché l’anno è stato tutto una Via Crucis e le feste anche avvocati e commercialisti le santificano in casa. Ma tant’è.
“A te e famiglia” era diventato il tormentone più sfottuto sui social, e poi tutti ci chiedevamo perché con tanta gente si dovessero fare i salti mortali per vedersi prima delle feste: se non ci si era visti fino a quel momento ci sarà stato un motivo, no?
Eppure.
Eppure ogni anno di questi tempi, pur sapendo che il mondo probabilmente non sarebbe finito, e non potendo prevedere quanto in pochi mesi sarebbe cambiato, volevamo abbassarci la saracinesca alle spalle senza lasciare incompiute nel nostro lavoro.
Ogni anno smoccolavamo assembrati in fila alla cassa dei negozi per sembrare gente impegnata che ha poco tempo da perdere, epperò in quei minuti di attesa pregustavamo dentro di noi il sorriso di gioia dei bambini che avrebbero ricevuto i nostri doni, e acquistarli in anticipo non avrebbe avuto lo stesso sapore.
Ogni anno minacciavamo amici e conoscenti di risparmiarci “a te e famiglia”, ma poi a questo rituale ci sottomettevamo volentieri perché in fondo il natalizio “a te e famiglia” è uno dei pochi residui momenti di consapevolezza diffusa del fatto che l’uomo è sì un individuo ma vive delle sue molteplici relazioni sociali, delle sue radici, delle sue origini, della sua identità. Quando i guardiani del politicamente corretto se ne accorgeranno ci vieteranno questa espressione!
Ogni anno arrivavamo tramortiti, con l’acqua alla gola, ingrassati a forza di aperitivi e pranzi e cene, epperò ci affannavamo a voler incontrare tante persone che non vedevamo da una vita, che magari per mesi avevamo trascurato e dato per scontate, trascinati dalla quotidianità dell’”un giorno di questi ci vediamo” senza che quel giorno arrivasse mai. A Natale avevamo bisogno di sapere che ci sono, che hanno un corpo da abbracciare e che ci vogliono bene. E se non facevamo in tempo ad abbracciarle tutte, volevamo sentirle a tutti i costi, o scrivere un messaggio (mai in serie!) perché ci sembrava che sentirle domani non sarebbe stato lo stesso.
Tutto questo ogni anno avremmo potuto farlo con calma, un po’ alla volta, il giorno dopo. E invece lo facevamo il giorno prima, e se ogni anno era la medesima storia è perché in fondo siamo felici così. Perché il Natale ripetendosi ci rinnova.
Ironizzavamo sì sulle frasi fatte, sui comportamenti reiterati e un po’ compulsivi, sulle nostre ritualità. Ma oggi ci rendiamo conto di quanto tutto questo ci manchi, perché anche questo è il misterioso fuoco del Natale. E se fino a ieri tenersene a distanza poteva essere indice di snobistica superiorità (de che, poi?), o forse paura di lasciarsi scaldare e di restare umani, oggi che gli abbracci sono proibiti per Dpcm siamo tutti più consapevoli che l’amore non dato è sempre una perdita. Perché a Natale ciò che ci manca ci manca un po’ di più. Ma il calore non è il problema, è la soluzione.
Buon Natale a tutti i lettori dell’Occidentale.