
A Torino c’è chi finge di scambiare la propaganda anti-israeliana per pluralismo

09 Maggio 2008
di Anna Bono
Di sicuro non avrebbe destato tanto interesse il
seminario intitolato “Le democrazie occidentali e la pulizia etnica della
Palestina” svoltosi a Torino il 5 e 6 maggio per iniziativa dell’ISM Italia,
International Solidarity Movement, se non fosse stato ospitato dall’Università.
In fin dei conti è stato un piccolo evento al quale hanno partecipato alcune
decine di persone, più o meno le stesse che periodicamente danno vita ad
analoghe iniziative di propaganda anti israeliana e anti occidentale.
Il fatto di rilievo è appunto che la Facoltà di Scienze
Politiche di Torino abbia deciso di offrire la propria sala lauree a un
incontro del genere con la piena approvazione del Magnifico Rettore Ezio
Pelizzetti: “La presenza dei nostri docenti assicura correttezza al dibattito.
L’Università è un luogo di confronto e di discussione. Non ci saranno momenti
di intolleranza o di odio anti-israeliano”.
Poi è risultato che di scientifico c’era ben poco negli
interventi dei relatori. Tutto sommato, inoltre, il seminario è passato quasi
inosservato in ambito accademico: pochissimi i docenti e praticamente assenti
gli studenti, se si escludono quelli che, insieme ai centri sociali, da tempo
hanno trasformato l’atrio del vicino palazzo delle facoltà umanistiche in
spazio di protesta permanente contro Israele. Qui l’odio e l’intolleranza
contro Israele ci sono, eccome, e in questi giorni si esprimono in materiale
illustrativo, manifesti, slogan scritti a grandi lettere, servizi fotografici
appesi ovunque per esortare al boicottaggio della Fiera del Libro che
quest’anno ha scelto Israele come ospite d’onore in occasione del 60
anniversario della sua nascita. Piuttosto, spiegano i manifesti che denunciano
la “mattanza” dei palestinesi, la ricorrenza da celebrare sono i 60 anni
dall’inizio della Nakba, la “catastrofe”, ovvero la pulizia etnica che gli
israeliani avrebbero incominciato a infliggere ai palestinesi il 15 maggio
1948, all’indomani cioè della costituzione dello stato di Israele.
Il termine “mattanza” è stato evitato dai docenti
intervenuti al seminario – Angelo d’Orsi, Tariq Ramadan, Diana Carminati – ma
solo per sostituirlo con “genocidio”, “pulizia etnica”, “apartheid”, “tortura”,
“olocausto”.
Sarebbe rendere troppo onore riassumere le loro relazioni
una per una. Tutto il seminario si è risolto in un susseguirsi di accuse a
Israele e di denunce inclusa quella di “memoricidio” che consisterebbe in una
serie di azioni mirate a modificare la storia a beneficio dei vincitori.
Innanzi tutto essi si servirebbero del loro immenso potere per manipolare
giorno per giorno i fatti e imporre, soprattutto dopo l’11 settembre 2001, una
sorta di neolingua orwelliana allo scopo di deformare la visione occidentale
della realtà mediorientale: ad esempio, in questa neolingua non esistono i “palestinesi”, ma soltanto degli “arabi” e i territori non si dicono “occupati”, ma “contesi”, “parzialmente occupati”, “sotto parziale controllo
israeliano” o, come ha spiegato il giornalista Giorgio Frankel, addirittura “liberati”. Inoltre dal 1948 Israele avrebbe sistematicamente cancellato ogni
traccia storica dell’esistenza dei palestinesi giungendo a sostituire i nomi
arabi di città, strade, villaggi, monti e fiumi con nomi ebrei, per dimostrare
che i palestinesi hanno soggiornato solo per un breve periodo nei territori da
sempre abitati dal popolo ebreo.
Più volte ribadita e sempre molto applaudita è sta
l’affermazione che Israele non ha la minima volontà di pace. In tal senso
l’esternazione più sorprendente è stata quella della professoressa Carminati
durante il suo intervento intitolato “Le verità scomode di A. De Soto, J.
Dugard, D. Rose e J. Wolfensohn”. La prova che Israele non vuole la pace è
data, secondo la “donna in nero”, dalle condizioni del tutto assurde e
inaccettabili che pone per realizzarla: ad esempio, il riconoscimento della
propria esistenza da parte delle autorità palestinesi.
Ma di sicuro l’aspetto del seminario di gran lunga più
apprezzato è stato il suo insistere sull’entità e sui metodi spietati della “pulizia etnica” attuata da Israele, tuttora in corso: un crimine contro
l’umanità impunito e abominevole. “Non smetteranno finché non avranno
completato l’opera” si è ripetuto più volte e, se non fosse una tragedia quel
che succede in Medio Oriente, verrebbe da fare dell’ironia a questo proposito:
si direbbe infatti che l’ ‘Olocausto’ stia dando risultati opposti a quelli perseguiti
e questo stando alle cifre snocciolate proprio dai relatori, in base alle quali
le centinaia di migliaia di palestinesi del 1948, dopo 60 anni di pulizia
etnica, sarebbero diventati 10 milioni, 7,5 espatriati e 2,5 milioni ammassati
in Cisgiordania e a Gaza. In effetti è vero che nei due territori in questione
si registrano tassi di fertilità rispettivamente del 5,4 e del 7% e negli
ultimi dieci anni la crescita demografica è stata del 37% in Cisgiordania e del
45% a Gaza.
Insomma, se di genocidio si trattasse, sarebbe un caso
unico nella storia dell’umanità perché sempre, dalla Cambogia al Rwanda, i
genocidi hanno svuotato case, villaggi, città, scuole e campi, lasciando tracce
evidenti anche dopo tanti anni.