A Tunisi Maroni firma per i rimpatri, a Roma il Cav. trova la quadra con Bossi

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A Tunisi Maroni firma per i rimpatri, a Roma il Cav. trova la quadra con Bossi

05 Aprile 2011

Due faccia a faccia nel giro di 48 ore. Lega e Pdl trovano la ‘quadra’su immigrazione e i temi caldi dell’agenda parlamentare. A Tunisi Maroni firma l’accordo per fermare l’esodo degli immigrati, a Roma Berlusconi ottiene il dietrofront dall’alleato di ferro sulla gestione dell’emergenza. Poi incontra Mantovano che oggi farà il punto col ministro dell’Interno sui dettagli dell’accordo e deciderà se ritirare o meno le dimissioni, anche se negli ambienti della maggioranza le previsioni propendono per la prima opzione. Davanti a Montecitorio la sinistra, Di Pietro e Fli fanno le prove generali di ‘grande ammucchiata’. A Ballarò, Fini sale in cattedra, boccia l’operato del governo e rilancia la riforma della legge elettorale. Istantanee della giornata politica.

Otto ore. Negoziati-fiume a Tunisi. Alla fine l’accordo c’è e Maroni fa capire la fatica della mediazione lasciando sul libro degli ospiti dell’ambasciata italiana una frase eloquente: “Ma che avventura!”. I dettagli dell’intesa segnano un punto a favore per il governo italiano e il faccia a faccia del premier col primo ministro tunisino lunedì ha fatto da apripista. Il ministro dell’Interno parla di un accordo tecnico di “cooperazione operativa” finalizzato da un lato a rafforzare la collaborazione tra Italia e Tunisia, “prevenire l’attraversamento irregolare delle frontiere” e combattere la tratta degli esseri umani gestita dalle organizzazioni criminali. Ma la novità rispetto alle previsioni e a quello che più o meno era circolato in giornata, riguarda il rimpatrio dei cittadini “dei due paesi che sono in situazioni irregolari”. Il che potrebbe significare che Tunisi è pronta a riprendersi gli immigrati sbarcati a Lampedusa.

Il capo del Viminale non specifica di più ma aggiunge un altro elemento significativo quando dice che “il valore dell’accordo è anche negli interventi di prevenzione” fissati nel testo dell’intesa e che non riguardano solo la questione dei sistemi di sicurezza”. Dunque interventi mirati per impedire l’esodo di massa dalle coste africane. Adesso bisognerà misurare la reale capacità del governo provvisorio tunisino di controllare i flussi e soprattutto impedire le partenze.  Così a Tunisi. A Palazzo Grazioli Berlusconi convoca lo stato maggiore della Lega e quello del Pdl. Un nuovo vertice dopo quello notturno di lunedì col Carroccio servito ad ottenere l’ok del Senatur sul permesso di soggiorno agli immigrati tunisini per motivi umanitari (aperture sono arrivate ieri anche da Strasburgo) e finalizzato anche a fare il punto sui temi al centro dell’agenda parlamentare: giustizia, legge comunitaria con all’interno la norma sulla responsabilità civile dei magistrati (l’emendamento porta la firma del leghista Pini), legge sui piccoli comuni, cara al Carroccio, e processo breve. Superate le frizioni dei giorni scorsi e il clima da campagna elettorale dei padani, il summit di ieri ha confermato il patto di ferro tra il Cav. e il Senatur e rilanciato il fronte comune sulla road map del governo.

Quanto al dossier immigrazione i leghisti hanno capito, da un lato che alimentare le tensioni nella maggioranza per curare il proprio orticello di consensi avrebbe significato mettere a rischio la tenuta della maggioranza e la stabilità del governo; dall’altro che il permesso temporaneo per motivi umanitari e dunque la previsione che gran parte di loro possano raggiungere altri paesi europei dove tra l’altro erano diretti fin dalla loro partenza, sarebbe bastato a placare l’insofferenza del popolo padano. L’obiettivo che il Senatur intende raggiungere è bloccare gli sbarchi, cioè “chiudere i rubinetti e poi svuotare la vasca” anche se sa perfettamente che per un’emergenza di queste dimensioni e che in Italia ha già portato 22mila immigrati non c’è la bacchetta magica, né si può pensare di risolvere il tutto in una manciata di giorni e magari facendo leva solo sull’accoglienza per ora garantita prevalentemente dal Sud. E’ un capitolo delicato sul quale tuttavia la Lega non può rischiare di tirare troppo la corda, pure se tra un mese si vota per le amministrative.

E ieri a Palazzo Grazioli il premier ha incontrato il sindaco di Roma Gianni Alemanno e il sottosegretario all’Interno Alfredo Mantovano che qualche giorno fa proprio sulla gestione degli immigrati arrivati in Italia aveva rassegnato le dimissioni: la tendopoli di Manduria ma anche il trasferimento massiccio dei migranti solo sulle regioni del Sud erano stati i motivi del ‘grazie, me ne vado’.

Il ‘pressing’ del Cav. sul sottosegretario all’Interno (e il lavoro di mediazione portato avanti finora da alcuni ‘pontieri’ pidiellini) va avanti da giorni e ieri si sarebbe concretizzato nel ‘congelamento’ delle dimissioni in attesa di conoscere nel dettaglio i termini dell’accordo siglato da Maroni a Tunisi. E’ col capo del Viminale che a partire da oggi, Mantovano farà il punto della situazione per poi decidere cosa fare delle dimissioni. Ma negli ambienti della maggioranza è diffuso un sostanziale ottimismo: del resto, si fa notare, lo stesso Mantovano ha apprezzato la linea sul permesso temporaneo per motivi umanitari e per quanto riguarda il ‘carico’ solo sulle Regioni del Sud questo sarà redistribuito anche al Nord. Eppure Mantovano anche ieri ha tenuto il punto e ribadito le ‘condizioni’ per tornare sui suoi passi.

 

Due i punti: l’allestimento di centri più piccoli dove accogliere i migranti, identificarli e provvedere alle attività di controllo in maniera più agevole (per non ripetere le fughe di massa già viste a Manduria, tanto per intenderci). Il secondo punto riguarda il piano di ripartizione con le regioni del Nord, Lega o non Lega. Non a caso il sottosegretario all’Interno rimanda all’accordo siglato da Maroni a Tunisi per valutare la possibilità di “rivedere la questione nel suo insieme” pur apprezzando il fatto che sul permesso temporaneo per motivi umanitari “c’è una disponibilità ormai condivisa dall’intera maggioranza sul riconoscimento del permesso temporaneo. Questo ci consente di governare molto meglio e con maggiore equilibrio e tranquillità la vicenda di coloro che sono sul territorio nazionale, fermo restando che con la conclusione dell’accordo tutti auspichiamo che possa arrivare qualcosa di positivo”. In particolare, spiega, “si potranno riattivare tutti quei filtri alle partenze che hanno funzionato fino al dicembre 2010 e che ci hanno permesso di gestire molto bene i traffici irregolari e di permettere i transiti regolari”.

Ma c’è un altro fronte che il Cav. deve ‘gestire’: le fibrillazioni dentro la pattuglia dei Responsabili. La seconda tranche del rimpasto, quella per intenderci dei dieci sottosegretari e un viceministro, pare rinviata alla prossima settimana e comunque non prima del varo definitivo del processo breve. Una mossa tattica, spiegano dalla maggioranza usando un gioco di parole, per ‘responsabilizzare ancora di più i Responsabili’ ed evitare che alla Camera ci possano essere ‘brutte sorprese’ durante le votazioni.  

 

Intanto chi è tornato in tv dopo un piccolo stop di una decina di giorni, è Gianfranco Fini che ieri sera a Ballarò è salito in cattedra, ha bocciato il governo (immigrazione e riforme) e rilanciato la revisione della legge elettorale. Il presidente della Camera e capo di Fli ha poi escluso l’ipotesi di elezioni anticipate (tanto care alla sinistra ma anche al suo collega di Terzo Polo, Casini) perché la maggioranza c’è anche se ‘ solo numerica e non politica’.

Qualche ora prima della diretta tv, proprio davanti a Montecitorio due suoi fedelissimi, Flavia Perina e Fabio Granata, manifestavano a braccetto dei manifestanti dipietristi e ‘viola’ , sotto i vessilli con la falce e il martello e al suono di Bella Ciao. Il tutto, condito per l’occasione con lo slogan più gettonato della giornata ‘in difesa della democrazia’: “Morte al tiranno”.