A tutto c’è un limite, anche alle intercettazioni (illegittime)

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A tutto c’è un limite, anche alle intercettazioni (illegittime)

17 Luglio 2012

Dura lex sed lex, recita il vecchio adagio di derivazione romanistica. E la legge, in questo caso, è in toto dalla parte del presidente della Repubblica. Con un decreto firmato lunedì, Napolitano ha sollevato un ‘conflitto d’attribuzione tra poteri dello Stato’ ex art. 134 della Costituzione, in merito alla vicenda delle telefonate intercettate dalla Procura di Palermo tra il consigliere del presidente per gli Affari Giuridici Loris D’Ambrosio e l’ex ministro degli Interni Nicola Mancino a proposito della presunta trattativa Stato-Mafia dei primi anni ’90. Nel corso delle indagini, sarebbero state intercettate anche talune conversazioni tra Napolitano e Mancino.

Per tale motivo, il Colle ha diramato un comunicato stampa in cui s’afferma la "doverosità" del conflitto, sollevato per le lesioni subite dal presidente a seguito di quanto emerso nei mesi scorsi dalle colonne de La Repubblica e de Il Fatto Quotidiano. Testuali, ecco le parole contenute nel comunicato: “Il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha affidato all’Avvocato Generale dello Stato l’incarico di rappresentare la Presidenza della Repubblica nel giudizio per conflitto di attribuzione da sollevare dinanzi alla Corte Costituzionale nei confronti della Procura della Repubblica di Palermo per le decisioni che questa ha assunto su intercettazioni di conversazioni telefoniche del Capo dello Stato; decisioni che il Presidente ha considerato, anche se riferite a intercettazioni indirette, lesive di prerogative attribuitegli dalla Costituzione”.

Lesioni di prerogative costituzionali, quindi. Ed inoppugnabili, verrebbe da dire. Per l’art. 7 della legge 219/1989, infatti, “salvi i casi di alto tradimento o attentato alla Costituzione e secondo il regime previsto dalle norme che disciplinano il procedimento di accusa, le intercettazioni di conversazioni cui partecipa il Presidente della Repubblica, ancorché indirette od occasionali, sono invece da considerarsi assolutamente vietate e non possono quindi essere in alcun modo valutate, utilizzate e trascritte e di esse il pubblico ministero deve immediatamente chiedere al giudice la distruzione”.

E’ il vicepresidente dei senatori del Pdl Gaetano Quagliariello, tuttavia, ad auspicare al riguardo un ulteriore sforzo del legislatore: “L’iniziativa assunta dal presidente Napolitano richiama l’attenzione sull’esigenza di adeguare allo spirito dell’ordinamento una normativa chiaramente frammentaria e lacunosa. Il ripetersi di casi a dir poco controversi dovrebbe suscitare nel legislatore il coraggio di fissare una volta per tutte una disciplina delle garanzie più rigorosa e ineludibile, attraverso una nuova legge sulle intercettazioni che sottragga un tema vitale per la democrazia all’arbitrio e a maglie interpretative troppo labili. Quand’anche infatti la Corte costituzionale desse ragione al capo dello Stato, com’è auspicabile – ha concluso Quagliariello – non vorremmo che dopo poco si finisse, come per le intercettazioni dei parlamentari, per tornare nella pratica concreta al punto di partenza”.

"Arbitrio e maglie interpretative troppo labili", sostiene Quagliariello. E il Procuratore capo di Palermo Francesco Messineo, in questo senso, non ha ancora disposto la distruzione delle telefonate tra Napolitano e Mancino. Il perché è presto detto: il Procuratore, in tema, distingue “tra intercettazioni preordinate, illecite e vietate e un’intercettazione occasionale e di fatto in sé imprevedibile e inaspettata”. Nonostante il ‘famigerato’ art. 7 parli, senza distinzione alcuna, dell’impossibilità di “intercettare, anche indirettamente, il Capo dello Stato, se non dopo che la Consulta lo abbia sospeso dalla carica per alto tradimento o attentato alla Costituzione”.

Anche per il Procuratore aggiunto di Palermo Antonio Ingroia, “quei nastri sono utilizzabili". "Se ci fosse un’intercettazione rilevante nei confronti di un indagato che parla con una persona coperta da immunità – ha proseguito il Procuratore -, secondo noi quell’intercettazione sarebbe utilizzabile”. E ancora, l’opinione di Gerardo D’Ambrosio: in un’intervista concessa a Il Fatto Quotidiano, il senatore del Pd e già Procuratore capo della Procura di Milano s’è dichiarato a favore della liceità dell’intercettazione indiretta del capo dello Stato: "Da ex magistrato dico che non esiste una norma che permetta di fare quello che chiede il Quirinale. Non solo. Da politico io sarei contrario ad introdurla". Vero, “la legge è uguale per tutti” – come sostiene D’Ambrosio nel colloquio con Marco Lillo. Eppure, il principio d’uguaglianza costituzionale impone che vengano trattate in modo uguale situazioni uguali, ma anche che situazioni diverse vengano trattate in modo diverso (cosiddetto ‘principio dell’uguaglianza in senso sostanziale’). Ed è qui, dunque, che può scorgersi netta la ratio del legislatore su un tema tanto delicato: per le funzioni svolte, il presidente della Repubblica non è un cittadino comune e ha, in base alla Costituzione e alle leggi attuative, una tutela rafforzata.

Occorrerebbe anche una maggior tutela per il presidente del Consiglio, aggiungiamo noi. Ma questo è un altro discorso. O meglio, un auspicio affinché la classe politica riformi l’impianto istituzionale costruito dai Padri Costituenti nel(l’ormai lontanissimo) 1948.

Nel suo editoriale di oggi su Il Fatto Quotidiano, Marco Travaglio si chiede (e si risponde, ndr): “Cos’avrà mai detto Napolitano nelle due telefonate intercettate sull’utenza di Mancino? Impossibile saperlo”. Il punto vero è un altro. Interrogativi ‘travaglieschi’ permettendo.