Abbasso i maniglioni antipanico, viva le maniglie dell’amore!

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Abbasso i maniglioni antipanico, viva le maniglie dell’amore!

02 Agosto 2009

Più o meno un anno fa, quando ho detto a mia mamma che non ero più single, c’è mancato poco che svenisse per la gioia.
Mi ha abbracciata forte, ha pianto, ha riso, ha messo su una caffettiera da due, si è immaginata con un nipotino cicciuto e incontinente tra le braccia, è andata in confusione e ha messo su anche una caffettiera da quattro.
Mia mamma, più o meno un anno fa, ha fatto sogni di gloria e caffè per tutta la palazzina.
Manco gliel’avesse detto la De Filippi da dentro la busta illuminata che sua figlia, dopo un’inconcludente e piatta relazione con Corrado Il Bello (ma stronzo, insensibile e vuoto come una campana del vetro di prima mattina), si era finalmente ri-fidanzata.
Che poi, finalmente…
L’anno scorso avevo 32 anni! Mica cinquanta, una gamba di legno e l’acidume di una zitella…
Beh, forse un po’ di acidume c’era. Ma c’è ancora. E’ questione di carattere.
Sei mesi dopo, i suoi sogni di gloria si sono infranti sbattendo rumorosamente contro un’unica frase: “Mario si è trasferito da me, ora conviviamo.”
La parola convivenza non le è mai andata a genio. Lei crede nel matrimonio e solo in quello, nonostante il suo con papà sia naufragato più di vent’anni fa. Ma questa è un’altra storia.
Ha ripreso a parlarmi la settimana scorsa, anche se, a sensazione, un distributore automatico di sigarette è più caloroso di lei. Il mio fidanzato lo chiama “il barbaro invasore”, come cantava Mietta a Minghi in una delle innumerevoli canzoni preferite da mia madre: “Vattene amore”.
Per ora non faccio nulla per farle cambiare idea. Ha già ripreso a parlarmi e questo mi basta…
Anche se in cuor mio spero che “il barbaro invasore” possa trasformarsi, prima o poi e anche per lei, in “trottolino amoroso dudu dadada”…

Perché io con Mario sono felice. Anzi, sono sempre più felice. E non chiedo di meglio.
Certo, la convivenza non è sempre facile, ti stravolge le abitudini, gli orari, perfino gli spazi.
Per esempio, ho dovuto togliere un po’ di cremine dalla mensola del bagno per far posto al suo shampoo e al suo bagnoschiuma. (Che poi, non poteva usare i miei? C’era bisogno di comprarne degli altri? Ma lui ne voleva qualcuno al “gusto da uomo”, così ha detto. Manco li bevesse.)
E’ una piccola cosa, lo so. Ma è comunque uno spostamento, una variazione di equilibri all’interno di un mondo che, prima del suo arrivo, io consideravo perfetto.
Sbagliando.
Sarà stato perfetto ma non era sereno. Ora so cosa vuol dire serenità.
Quello che era solo mio ora è anche suo. La mia casa ora è anche la sua casa. E’ nostra.
Allo stesso modo, quello che era solo suo ora è anche mio. I suoi calzini a righe sparsi in camera da letto ora sono anche i miei calzini a righe. Le sue magliette sporche e abbandonate sulla poltrona ora sono anche le mie magliette sporche.
La sua allegria, la sua gioia e il suo entusiasmo, ora appartengono anche a me.
Serenità è, pur avendo la casa destabilizzata dal caos, pur avendo paura che niente sarà più come prima, guardare la persona che ami dritto negli occhi e, magicamente, ritrovare te stessa.
Trovare la pace. L’ordine interiore nonostante il disordine esteriore.
Quando faccio ‘sti discorsi mi sento mezza buddista.
Domani lo dico a mia madre, così non mi parla per altri sei mesi.
Anzi, forse per tutta la vita.

C’è una cosa della convivenza che, insieme ad addormentarmi abbracciata a Mario, mi manda in estasi: cucinare per lui. Guardare la sua faccia goduta mentre assapora una forchettata di spaghetti allo scoglio o mentre si fa sciogliere in bocca un pezzetto di lasagna, m’inorgoglisce.
Mi sento la cuoca più meravigliosa del mondo.
Guardare il suo pancino che cresce inesorabilmente, invece, mi fa sentire in colpa.
Ma so che la colpa la devo smezzare con Gino, il barista-pasticcere, nonché pusher di dolci di fiducia del mio Mario. Dovrò fargli un discorsetto se non voglio ritrovarmi un fidanzato con dei maniglioni antipanico al posto delle maniglie dell’amore…

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