Abolizione delle Province, l’Upi mette in guardia sui costi e sulle singole realtà

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Abolizione delle Province, l’Upi mette in guardia sui costi e sulle singole realtà

31 Gennaio 2012

Abolire le Province? Per un larga fetta di cittadini è senz’altro una buona idea. È opinione diffusa, infatti, che questi enti-ponte tra Comuni e Regioni siano tutto sommato superflui. Comportano solo un aggravio di costi, a fronte di benefici ridotti al lumicino. Un dossier della Confesercenti sintetizza questo sentimento che accomuna gli italiani, da Nord a Sud: un’eventuale cancellazione delle Province sarebbe utile per “la rilevanza delle risorse pubbliche che sarebbe in grado di liberare; per la coerenza con un’evoluzione costituzionale che non sembra proprio avere bisogno di un simile organo elettivo e di rappresentanza politica; per la concretezza delle risposte che, una volta tanto, si riuscirebbe a dare alle crescenti istanze di riduzione dei costi della politica”. Ma le cose stanno proprio così?

Per l’Upi (Unione delle Province d’Italia, ndr) ovviamente no. E intende spiegare perché. Lo farà oggi, con una sorta di “operazione verità” rivolta ai cittadini. Soprattutto a loro saranno aperti i consigli provinciali: durante le sedute che ci saranno in contemporanea in tutta Italia si porrà l’attenzione sui pro e i contro di quel decreto “Salva Italia” che di fatto abolisce gli enti provinciali.

Sarà particolarmente sentito il consiglio provinciale di Isernia. Con i suoi circa 100mila abitanti (tra l’altro sparsi in piccoli paesi che nella maggior parte dei casi contano all’incirca mille anime), è uno degli enti più piccoli d’Italia. In qualche modo l’Amministrazione provinciale è il motore di una già di per sé non esaltante economia locale. Chiudere l’ente di via Berta significherebbe tagliare risorse alle imprese che offrono servizi e altre prestazioni alla Provincia. Chiuderlo significherebbe al tempo stesso ridimensionare i comandi provinciali delle forze dell’ordine e gli altri organismi periferici dello Stato, come ad esempio la Prefettura. Significherebbe impoverire ulteriormente un territorio già segnato profondamente dai tagli. Di primo acchito questo potrebbe sembrare un discorso di campanile, di difesa di interessi particolari. Ma le cose non sanno proprio così.

Isernia, infatti, non è Milano: in un progetto di riforma bisognerà tenerne conto. Inoltre su un discorso di razionalizzazione sono gli stessi rappresentanti dell’istituzione isernina a dire che certi meccanismi vanno rivisti. Ne sono consapevoli. Quello che contestano (loro, ma anche gli altri consigli provinciali d’Italia) è questo colpo di spugna che si vuol dare senza ragionare sugli effettivi benefici e sulle possibili conseguenze derivanti da un azzeramento o da un drastico ridimensionamento delle Province. Ad esempio, quando si parla di risparmi, l’Unione delle Province d’Italia tira fuori questi dati: degli 813 miliardi di euro della spesa complessiva degli apparati statali (2011), solo 11 miliardi sono stati destinati agli enti provinciali. Significa che incidono meno del 2% sulla spesa pubblica complessiva del Paese. “Questi numeri – ha più volte evidenziato Luigi Mazzuto, presidente della giunta provinciale di Isernia – dimostrano che per ridurre le spese della politica è inutile accanirsi contro le Province”. Il presidente indica anche la via da seguire: a suo avviso (ma non è il solo a pensarlo) potrebbe dare buoni risultati il taglio degli organi di nomina politica. Bisognerebbe cioè ridurre i consigli di amministrazione di enti sub regionali e consorzi. “Le Province – ha aggiunto Mazzuto –  comunque non si tirano indietro rispetto all’esigenza di una profonda riforma, che riguardi tutte le istituzioni della Repubblica. Questa sì che è la vera riforma da fare”. A chi invece parla dei costi della politica, ha risposto il presidente del consiglio provinciale isernino, Lauro Cicchino: “Le Province non possono essere considerate sempre il capro espiatorio dei mali della Repubblica. Sui costi della politica degli enti provinciali si è già intervenuti in profondità, mentre poco è stato fatto su altri livelli di governo. Alcuni dati? Eccoli: per le Regioni questi costi, secondo una relazione del ministero dell’Economia, sono di 907 milioni di euro,  di 617 per i Comuni e di 461 per il Parlamento. I costi più bassi sono, invece, proprio quelli delle Province dove per gli eletti si spendono in totale 113 milioni di euro”.

Basteranno questi argomenti a convincere i cittadini? Lo scopriremo oggi. Lo si capirà innanzitutto dalle presenze che faranno registrare i consigli straordinari che – lo ricordiamo – oggi si terranno in tutta Italia. L’Upi farà di tutto per far capire, tra le varie cose, che l’abolizione di fatto delle Province “non solo non porterebbe alcun tipo di risparmio economico per le casse dello Stato, ma provocherebbe piuttosto un drastico aumento della spesa pubblica e, cosa ancora più grave, nell’immediato rischia di bloccare completamente lo sviluppo economico dei territori, poiché di fatto ferma tutti gli investimenti in atto delle Province. A subirne le drammatiche conseguenze, quindi, sarebbe tutto il tessuto imprenditoriale locale, che verrebbe privato da subito di una fonte di reddito con evidenti ripercussioni sui livelli di disoccupazione locale e quindi dell’intero sistema economico dei territori”.

A proposito di spesa pubblica, l’Upi stima che il passaggio del personale dalle Province alle Regioni provocherebbe un aggravio di costi pari al 25%. Inoltre non si terrebbe conto dei problemi pratici derivanti dal trasferimento del patrimonio e del demanio delle Amministrazioni provinciali: 125mila chilometri di strade, oltre 5mila edifici scolastici, 550 centri per l’impiego, ecc. Tutto questo sarà ribadito oggi. I consigli provinciali voteranno inoltre un ordine del giorno per chiedere alle Regioni di promuovere i ricorsi di fronte alla Corte Costituzionale. Ma diranno anche che qualcosa va fatto per cambiare in meglio questa Italia. Diranno che anche le Province dovranno fare la loro parte (ad esempio pensando anche a qualche accorpamento). Ma non dovranno essere le sole a mettersi in discussione: “Solo attraverso l’impegno e il concorso di tutte le istituzioni della Repubblica – si legge nell’ordine del giorno – è possibile coniugare risanamento, equità e crescita in una prospettiva di coesione sociale e territoriale”.