Abruzzo, “No a Ombrina Mare” ma sul petrolio diciamo le cose come stanno
11 Marzo 2013
Si può anche dissentire dal governo Monti, criticarlo perché, pur in ordinaria amministrazione, trova il tempo di firmare la SEN, la strategia energetica per Europa 2020, confermando l’indirizzo preso per le estrazioni petrolifere in Italia.
Né si può restare indifferenti davanti a una intera comunità che in Abruzzo, a tutti i livelli, politico-istituzionale (si è mosso anche il Presidente Chiodi), economico, religioso, delle comunità e dell’associazionismo, fa quadrato contro il nuovo impianto petrolifero “Ombrina Mare” al largo della costa chietina.
Ambientalisti, WWF, Legambiente, Greenpeace e associazionismo ecologista giocano ovviamente la parte del leone in questa battaglia contro “l’oro nero”, spiegandoci che il governo italiano con un “colpo di mano” si appresta a trivellare le acque dell’Abruzzo mettendo a repentaglio l’ecosistema naturale.
Nella Regione c’è poco petrolio, vero, e il giacimento di Ombrina Mare con i suoi 40 mln di barili basterebbe a coprire solo 100 giorni di consumo interno (buttale via); la qualità del greggio, infine, non è buona per la benzina ma solo per i combustibili (“petrolio amaro”).
Così dicono e il messaggio sembra chiaro: il governo sta facendo un favore a Medoil, la società controllata dal fondo di investimento americano Och-Ziff, con capitali per 33 miliardi di dollari. Quando il 22 febbraio scorso il governo italiano diede l’ok, il titolo avrebbe guadagnato 10 punti percentuali alla Borsa di Londra. Altri profitti arriverebbero dalle royalties legate alle estrazioni.
Ovviamente non siamo per le “trivellazioni selvagge” e bisogna ammettere che negli Usa le piattaforme petrolifere sorgono molto più al largo di quanto dovrebbe avvenire per Ombrina Mare (15o miglia a fronte delle nostre 4). Così come non va bene che le Compagnie che operano nel nostro Paese non si siano ancora adeguate agli standard di sicurezza stabiliti dopo il disastro nel Golfo del Messico.
Che poi è questo lo spauracchio evocato senza tregua dagli ambientalisti, il danno ambientale alla “Regione Verde” d’Europa che ha puntato sul turismo, le sue bellezze naturali e il patrimonio storico e artistico, e adesso deve fare i conti con "l’ecomostro". Un incidente nell’Adriatico, mare chiuso, provocherebbe danni enormi all’ecosistema.
“Vox populi, vox dei”, in Italia la battaglia (persa) sul nucleare c’insegna che contro la sindrome NIMBY c’è poco da fare, governi o multinazionali sempre più spesso devono fare un passo indietro. Eppure qualche sospetto dovrebbe sorgere, scorrendo le pagine web che parlano del petrolio in Abruzzo.
E’ mai possibile che tutti, ma proprio tutti i contenuti a disposizione su Internet siano contrari alle trivellazioni, dicano no al petrolio e no a Ombrina Mare? Non si tratta di voler difendere i grandi interessi dell’industria petrolifera, ma che tipo di informazione è mai questa che offre un solo punto di vista?
Accade un po’ come con Grillo, il web viene considerato una grande risorsa per capire come stanno “davvero” le cose ma poi sui temi trattati non c’è alcuna dialettica e ci si affida solo al Verbo ed alle Verità assolute (l’energia petrolifera è al tramonto, i politici sono tutti ladri, eccetera eccetera).
In realtà, in 75 anni di attività estrattiva in Abruzzo non si sono registrati incidenti degni di passare alla storia. Il Mare Adriatico non ha quella profondità e pressione da paragonarlo al Golfo del Messico. Il numero dei pozzi petroliferi nella Regione è costantemente diminuito dagli anni Settanta ad oggi (altro che “petrolizzazione” delle coste…).
Solo lo 0,02 per cento del territorio è “petrolizzato” e questa percentuale irrisoria dà lavoro a circa 6.000 persone compreso l’indotto. Il 70 per cento della movimentazione del Porto commerciale di Ortona si basa sull’attività petrolifera.
L’Europa del “20/20/20”, il mondo a forma di rinnovabili, sarà pure il radioso futuro che ci aspetta ma per adesso i combustibili fossili rappresentano ancora la realtà. Diciamo no a Ombrina mare ma per favore senza seguire come pecore sonnambule il flauto magico dell’ambientalismo pasdaran.