Abu Mazen ha scoperto che Hamas è una “forza democratica”
26 Maggio 2011
Sembra si sia giunti all’unità nazionale tra i due governi palestinesi: quello di Hamas a Gaza e quello di Al-Fatah, con a capo il Presidente Abu Mazen, in Cisgiordania.
Il 4 maggio, al Cairo, con la mediazione dei servizi segreti egiziani, le due anime dei Territori (la prima “laica” e “affidabile”, l’altra “integralista”) che, almeno apparentemente, si contrappongono dal 2005, hanno raggiunto un accordo di unità nazionale, ufficializzato il 17 dello stesso mese. I toni sono trionfalistici: entro l’anno, dicono, nascerà uno Stato palestinese unitario.
Tuttavia il dirigente di Al-Fatah Azzam Al-Ahmed, a seguito di una serie di colloqui a Mosca, in cui è stato ricevuto anche dal Ministro degli Esteri russo Serghei Lavrov − il quale lunedì aveva espresso sostegno al processo di pace interna tra i palestinesi − ha dichiarato che l’Autorità Nazionale Palestinese non intende “fare una dichiarazione unilaterale d’indipendenza”, ma vuole chiedere alle Nazioni Unite di riconoscere lo Stato di Palestina.
Si può dunque tirare un sospiro di sollievo? Neanche per sogno. Lo si capisce bene dalle parole di Khaled Mesha’al, capo dell’ufficio politico di Hamas, il quale ha affermato che "la nostra divisione serviva solo al nemico sionista". Concordia quindi, unità, ma allo scopo di essere tutti armati contro il nemico di sempre: Israele. Tanto che il Primo Ministro israeliano Netanyahu ha detto che «l’Autorità Nazionale Palestinese deve scegliere tra la pace con Israele e la pace con Hamas».
E`noto che − sebbene Hamas accusasse Al-Fatah di collaborare con il nemico, avendone riconosciuto formalmente l’esistenza − entrambe le fazioni palestinesi si sono macchiate di attentati contro lo Stato ebraico. Non sono neppure un mistero, le torture che gli sgherri di entrambi i regimi perpetrano nei confronti di palestinesi accusati di “collaborazionismo”.
Hamas è il braccio operativo palestinese dei Fratelli Musulmani egiziani e la sua costituzione del 1988, lo Statuto del Movimento di Resistenza Islamico − dal nome dell’organizzazione, Harakat al-Muqawama al-Islamiyya, di cui Hamas, “fervore”, è l’acronimo − ha come obiettivo primario la distruzione fisica dello Stato di Israele: “Israele sarà stabilito e rimarrà in esistenza finché l’islam non lo ponga nel nulla, così come ha posto nel nulla altri che furono prima di lui”, recita il prologo, specificando che si tratta di “parole dell’imam e martire Hassan al-Banna − fondatore dei Fratelli Musulmani, 1906-1949 −, possa Allah avere misericordia di lui”. Seguono diverse affermazioni antisemite, l’esaltazione dei Protocolli degli Anziani di Sion (all’art. 32) e diverse prese di posizione negazioniste della Shoah da parte di suoi dirigenti.
Il recente assassinio del “pacifista” Vittorio Arrigoni a Gaza ha messo in luce come la strategia del “jihad locale” perseguita da Hamas sia entrata in collisione con quella dello “jihad globale” sostenuto dai salafiti, ma i componenti dello stesso commando salafita che ha assassinato Arrigoni provenivano quasi tutti dai ranghi delle Brigate Ezzedin al-Qassam, il braccio armato di Hamas − movimento di fatto sostenuto dal pacifista, sebbene quest’ultimo invocasse proprio l’unità nazionale in funzione anti-israeliana.
L’Autorità Nazionale Palestinese (ANP) è nata dall’OLP nel 1994, in seguito agli Accordi di Pace di Oslo con Israele. Tuttavia il suo leader Abu Mazen (nome onorifico, kunya, di Mahmoud Abbas) è lo stesso che nel 1982, a Mosca, ha conseguito il dottorato in Storia con la tesi La connessione tra nazismo e sionismo, 1933-1945, supervisionata dal professor Yevgeny M. Primakov, allora ufficiale del KGB e poi famoso ministro.
Successivamente Abu Mazen ha pubblicato il suo scritto in una nuova versione nel 1984 ad Amman, con il titolo L’altra faccia. Le relazioni segrete fra il nazismo e i capi del movimento sionista. Qui il “moderato” attuale leader dell’ANP ha scritto che gli ebrei gonfiano per principio e malizia le cifre delle vittime della Shoah.
Pochi giorni fa il Presidente Abu Mazen ha difeso il movimento integralista Hamas, affermando che esso “porta avanti un’opposizione che si fonda su basi democratiche”.
In un incontro ad Amman con il Premier giordano Maarouf Bakhit, Mahmoud Abbas ha sottolineato anche che Hamas “fa parte della società palestinese”, secondo quanto riferito dall’agenzia ufficiale giordana Petra.
Peccato che non sempre la democrazia formale, data da libere elezioni, corrisponda alla democrazia sostanziale: anche Hitler e Mussolini sono saliti al potere per volontà popolare.
All’integralismo di Hamas, che si ripercuote sulla libertà della società civile di Gaza, corrisponde la volontà mai rinnegata di distruggere un altro Stato e ribadita dal vicepresidente dell’ufficio politico dell’organizzazione Mussa Abu Marzuk, il quale, in conferenza stampa a Mosca al termine della visita della delegazione palestinese, ha definito “errore storico” il riconoscimento dello Stato ebraico da parte dell’OLP.
Se, come dice Abu Mazen, Hamas è parte integrante della società palestinese, ciò non depone certo a favore di quest’ultima e della pace con essa nella sua totalità. Anche perché lo stesso Mahmoud Abbas ha affermato: “Un ritorno ai negoziati con Israele avrà dei parametri ben definiti: fermare la colonizzazione dei Territori palestinesi occupati e un impegno serio dello Stato ebraico verso la pace” − a suo avviso, dunque, sono gli israeliani a dover impegnarsi seriamente per ottenerla. Poi ha precisato: “Impediremo ogni atto violento contro l’entità sionista”. Ma l’“entità sionista” non esiste: esiste Israele.