Abu Omar, la sentenza di Milano rende giustizia al generale Pollari

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Abu Omar, la sentenza di Milano rende giustizia al generale Pollari

04 Novembre 2009

Il tribunale di Milano si adegua a quanto sentenziato dalla Corte Costituzionale: "non luogo a procedere" per i vertici del Sismi che sedevano sul banco degli imputati nel processo per il sequestro dell’imam Abu Omar. Una sentenza che, secondo il presidente dei Senatori del Pdl Maurizio Gasparri, "rende giustizia" a Nicolò Pollari, l’ex direttore dei servizi accusato di avere collaborato con la Cia nella rendition di Abu Omar.

Qualunque cosa sia successa a Milano quella mattina del 17 febbraio 2003, qualunque ruolo abbia avuto l’intelligence italiana nello spalleggiare l’operazione organizzata dai servizi americani, tutto questo resta coperto dal “segreto di Stato”, una scelta ritenuta legittima sia dai governi italiani di centrodestra che da quelli di centrosinistra, come pure dalla Corte Costituzionale. La Consulta aveva infatti affermato che l’interesse per la sicurezza nazionale prevale su ogni altro, perché è su questa sicurezza che si basa la sopravvivenza stessa dello Stato.

Pollari ha fatto sapere, attraverso i suoi legali, che la sentenza  del giudice Oscar Magi lo ripaga “di anni di umiliazioni e di amarezze”. “Avrebbe rinunciato al diritto di difendersi – hanno detto gli avvocati Titta e Nicola Madia – pur di non violare quel sacro dovere nei confronti della Repubblica anche se in soli cinque minuti avrebbe potuto dimostrare inequivocabilmente la sua estraneità ai fatti”.

Condanne pesanti, invece, per gli 007 americani: 8 anni per l’ex capo della sede milanese Bob Lady, e 5 al gruppo di agenti operativi che prelevarono materialmente l’imam a Milano (anche se gli agenti della Cia hanno da tempo lasciato l’Italia e vivono al sicuro in America). Prosciolti perché coperti da immunità diplomatica Jeff Castelli, ex capo della Cia in Italia, e 2 suoi collaboratori.

La ricostruzione del caso. Chi era Abu Omar? L’imam di Milano, Hassan Mustafa Osama Nasr, noto appunto come Abu Omar, e ritenuto legato agli ambienti del fondamentalismo islamico, viene sequestrato il 17 febbraio 2003 da dieci agenti della Cia e da un maresciallo dei carabinieri che lavora nella sezione antiterrorismo del Ros di Milano (l’unico ad aver subito una condanna definitiva per quei fatti). Trasferito in Egitto, il suo Paese di origine, Abu Omar sarebbe stato torturato per ottenere informazioni, tanto da subire lesioni permanenti. La  sua vicenda è stata amplificata dalla stampa internazionale, come uno dei casi meglio documentati casi di extraordinary rendition eseguiti dai servizi segreti statunitensi nel contesto della guerra globale al terrorismo.

Il problema è che l’operazione della Cia interruppe le indagini che la procura di Milano stava conducendo su Nasr e, proprio attorno a questo aspetto della vicenda, si è giocata una complicata storia fra magistratura, investigatori, agenti segreti italiani, insomma poteri che sono entrati in conflitto tra loro. Nel 2006, per esempio, il magistrato Stefano Dambruoso (il primo ad accedendere i riflettori sulle attività di Abu Omar) ebbe a dire: "Che in un palazzo di Giustizia italiano ci siano agenti americani che interrogano o minacciano degli indagati sembra un pessimo telefilm". Resta il fatto che il Sismi e la Cia operavano, appunto, nel contesto della lotta al terrorismo.

L’intera vicenda giudiziaria è stata fortemente influenzata dal segreto di Stato, apposto prima dal governo Prodi, poi confermato da Silvio Berlusconi. Sull’interpretazione della sentenza con cui la Corte Costituzionale ha fissato i criteri dell’estensione del segreto, in aula è stata spesso battaglia. Secondo l’accusa, non poteva esservi segreto di Stato riguardo notizie relative a un “fatto reato”, come, per l’appunto, il rapimento di Abu Omar. Per i legali di Pollari, invece, con il divieto di violare il segreto di Stato imposto dal governo, il Generale è rimasto “vittima del segreto di Stato”.

Le udienze. Nell’udienza conclusiva del processo, il 30 settembre 2009, al termine della requisitoria, il pubblico ministero Armando Spataro aveva chiesto 13 anni di reclusione per Pollari, definito "il regista di un sistema criminale"; 10 anni per l’ex capo del controspionaggio militare italiano, Marco Mancini; la condanna anche per i 26 agenti della Cia coinvolti nel rapimento, con pene comprese tra i 10 anni e i 13 anni di reclusione. Secondo la ricostruzione del sequestro fatta in aula dal Pm Spataro – che ha ricordato come ci siano "prove ineluttabili" contro quella che più volte ha chiamato "la banda Pollari-Mancini" – il Sismi diretto da Pollari non solo avrebbe offerto copertura alla Cia nel rapimento ma collaborò con i servizi americani.

E invece la sentenza di primo grado di ieri ha smontato almeno in parte le tesi dell’accusa, deliberando il non luogo a procedere per Pollari e Mancini, e condannando a 8 anni il capostazione Cia Robert Seldon Lady, a 3 anni Pio Pompa e Luciano Seno, entrambi funzionari del Sismi, e ad altre pene gli agenti della Cia.