Accusare i sismologi serve davvero a punire i veri responsabili?

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Accusare i sismologi serve davvero a punire i veri responsabili?

22 Settembre 2011

All’Aquila è iniziato, questo martedì, il processo che vede imputati sette membri della Commissione Grandi Rischi: l’accusa è di omicidio colposo per aver valutato in modo erroneo, secondo i pm, i rischi dello sciame sismico che il 6 aprile 2009 culminò nella scossa di terremoto che mise in ginocchio il capoluogo abruzzese e provocò la morte di 309 persone. I sette imputati sono tutte personalità di primo piano: Franco Barberi, presidente vicario della Commissione; Bernardo De Bernardinis, ex vice capo del settore tecnico del dipartimento della Protezione Civile; Enzo Boschi, che all’epoca presiedeva l’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia; Giulio Selvaggi, direttore del Centro nazionale terremoti; Gian Michele Calvi, direttore di Eucentre e responsabile del progetto C.a.s.e.; Claudio Eva, ordinario di fisica all’Università di Genova e Mauro Dolce, direttore dell’ufficio rischio sismico della Protezione civile.

I pm li considerano colpevoli alla luce della riunione della Commisione Grandi Rischi tenutasi il 31 marzo 2009, esattamente sei giorni prima del terremoto. In quell’occasione vi sarebbe stata “una valutazione del rischio sismico approssimativa, generica e inefficace in relazione alla attività della commissione e ai doveri di prevenzione e previsione del rischio sismico”, cui avrebbe fatto seguito la divulgazione di “informazioni imprecise, incomplete e contraddittorie sulla pericolosità dell’attività sismica vanificando le attività di tutela della popolazione”. Da qui l’accusa di omicidio colposo, lesioni personali colpose e cooperazione nel delitto colposo, con le parti civili – tra cui il Comune dell’Aquila – che hanno fatto richiesta di un risarcimento di 50 milioni di euro.

La messa in stato d’accusa dei membri della Commissione Grandi Rischi non trova però consensi unanimi, soprattutto a livello di comunità scientifica internazionale: come ricordato dal Wall Street Journal, circa 5.200 ricercatori di tutto il mondo firmarono, lo scorso anno, una petizione a sostegno dei colleghi imputati, mentre la Società Sismologica d’America rivolse un appello al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, in cui esprimevano la propria preoccupazione per quello che definirono “un attacco legale senza precedenti contro la scienza”.

La morte di più di 300 persone, il ferimento di quasi duemila, così come l’annientamento di interi centri abitativi, gridano giustizia in maniera sacrosanta e inattaccabile. Centinaia di famiglie hanno perso i propri cari, e spesso tutto quello che avevano, e i responsabili devono pagare. Ma la questione è proprio su chi sia da considerare pienamente responsabile, in modo da distinguerlo da chi, al contrario, può aver anche commesso degli errori nell’espletamento delle proprie funzioni lavorative, senza però doversi ritenere colpevole del disastro sismico.

I primi, cioè i veri responsabili, sono quanti negli anni hanno trascurato, in malafede, i rischi geologici che da sempre presenta l’area appenninica comprendente l’Aquila, costruendo edifici utilizzando materiali assolutamente scadenti (cemento mischiato a sabbia), in nome della speculazione edilizia. L’esempio principe è la Casa dello Studente, crollata al suolo dopo aver subito solo due anni prima una  ristrutturazione. Così come ‘colpevoli’ sono quanti hanno effettuato controlli più che approssimativi nelle fasi di collaudo degli edifici e in quelle successive di verifica periodica. Moralmente condannabili, infine, quei personaggi che sono stati pizzicati a ridere mentre – senza alcun sentimento di pietà – pregustavano gli affari che la ricostruzione dell’Aquila prospettava loro.

Proprio in forza di quanto descritto per questa categoria di colpevoli, non appare scandaloso che vengano esclusi i tecnici e gli scienziati accusati di non aver preso nella dovuta considerazione i vari allarmi sismici, primo fra tutti quello del sismologo Giampaolo Giuliani, noto per aver "previsto" l’imminente terremoto del 6 aprile 2009. E’ proprio questo il punto: la scienza sismologica mondiale è risoluta nell’affermare che, almeno fino a oggi, non è possibile prevedere lo scatenarsi di un sisma.

Certo, è naturale domandarsi se, nel dubbio, non sarebbe stato meglio far evacuare la zona dell’Aquila, così da evitare il pericolo a monte. Non si dimentiche che l’ordinamento giudiziario prevede certi i reati di cui i membri della Commissione Grandi Rischi sono accusati, ma allo stesso modo prevede anche il reato di "procurato allarme", nel caso in cui avessero consigliato l’evacuazione dei centri abitati senza che poi il sisma si fosse verificato. Il ruolo degli scienziati – in questo caso dei sismologi – comporta dei rischi elevati che possono travalicare gli attuali strumenti della scienza. Prevedere lo scatenarsi di un sisma non è come anticipare l’arrivo di un ciclone, di cui si può seguire il percorso e l’evoluzione. Nessuno scienziato può a oggi preannunciare la data e l’ora esatta in cui la crosta terrestre sprigionerà l’energia elastica accumulata.

Nel verbale della riunione del 31 marzo 2009, emerge come l’allora presidente dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, Enzo Boschi – uno degli imputati – avesse ritenuto "improbabile che ci sia a breve una scossa come quella del 1703 (che causò oltre 6000 vittime, ndr), pur se non si può escludere in maniera assoluta". E’ comprensibile che, col senno di poi, tale valutazione d’improbabilità faccia gridare da più parti allo scandalo, ma rimane l’oggettiva impossibilità di prevedere un terremoto, e ciò dovrebbe dissuadere tutti – autorità giudiziaria in primis – dal chiamare in causa degli scienziati. I rilevamenti effettuati ogni giorno dagli istituti di sismologia hanno lo scopo di mappare storicamente la sismicità di una particolare area, non di consentire di effettuare pronostici sullo scatenarsi o meno di un sisma.

Il modo migliore per evitare che in futuro altre famiglie paghino con la morte o con la distruzione a causa di un terremoto rimane pertanto la prevenzione, che consiste nel costruire gli edifici a regola rispettosi di regole antisismiche e nell’effettuare i controlli necessari a tempo debito. Tutto quello che non si è fatto negli anni precedenti al disastro dell’Aquila. In questo modo si eviterebbe di affidare le speranze di salvezza di molti alla fallace capacità dei sismologi di prevedere un sisma. E soprattutto non si creerebbe un precedente ambiguo, in base al quale ai sismologi apparirebbe come conveniente invocare l’evacuazione ogniqualvolta si registrasse un movimento tellurico sospetto, senza rischiare di prendere decisioni scomode.