Acquedotto pugliese, la Corte dei Conti boccia la Regione
15 Maggio 2012
di A.R.
Altre brutte notizie per la Puglia. Stavolta, a finire nel mirino della Corte dei Conti è l’Acquedotto pugliese che è anche, per inciso, il più grande d’Europa. I risultati di bilancio ottenuti nel 2009 e nel 2010 sono stati positivi, ma sui conti pesa – stando alla relazione pubblicata ieri dell’organo di rilievo costituzionale – la minaccia di un indebitamento crescente, oltre ad alcuni dubbi espressi sul processo decisionale e sulla governance dell’Acquedotto.
Ad esempio, la scelta assunta l’anno scorso dalla Regione Puglia di staccarsi un dividendo da 12,25 milioni di euro a valere sulle riserve 2010 lascia «perplessi» – sostiene la Corte – anche perché questa decisione può mettere a rischio l’equilibrio economico-finanziario nel medio periodo.
Peraltro, le perplessità sulla deliberazione assunta nel 2011 per la distribuzione straordinaria una tantum di dividendi a favore dell’azionista unico Regione Puglia, si legano anche alla questione della bocciatura da parte di un’altra Corte, quella costituzionale, della legge che ha regionalizzato l’Acquedotto e alla relativa confusione nel quadro normativo. La Corte dei Conti rileva infatti che, dopo tale bocciatura, "è venuto meno il supporto normativo delle modifiche statutarie, le quali, peraltro, già apparivano in contrasto con la legge statale 448 del 2011, che, nel trasferire a titolo gratuito alle Regioni Puglia e Basilicata le azioni dell’Acquedotto pugliese, chiedeva alle stesse Regioni di avviare in tempi rapidi la privatizzazione della società con procedure trasparenti". Ciò, rileva la Corte, "rende necessaria la riconduzione dello Statuto della società alla normativa statale e la ricerca di un punto di equilibrio tra le opzioni dell’azionista Regione Puglia e gli obblighi di privatizzazione derivanti dalla normativa statale mai abrogata, anche al fine di assicurare una coerenza della posizione dell’Acquedotto rispetto alla disciplina generale del settore in cui opera".
Come se tutto ciò non bastasse, oltre alla questione del dividendo straordinario i giudici contabili criticano anche il modo in cui si è conclusa un’altra vicenda, quella degli swap sottoscritti nel 2004 con Merryl Linch a copertura del bond da 250 milioni di euro. I contratti – che trasformavano in rate il precedente rimborso del prestito a scadenza – si sono rivelati molto più rischiosi del previsto, perché le risorse del fondo di ammortamento erano state investite nei bond di case automobilistiche americane come General Motors travolte dalla crisi. L’Acquedotto ha chiuso la partita versando 13,1 milioni di euro, utilizzando un accantonamento di bilancio ed evitando il rischio di guai peggiori. Tuttavia, a non convincere la Corte dei Conti è soprattutto il fatto che l’Acquedotto pugliese non abbia avviato azioni di responsabilità nei confronti degli amministratori e che, anzi, abbia persino erogato un «incentivo straordinario» proprio per l’attività svolta al fine di chiudere lo swap.