Ad Alitalia non serve un commissario italiano ai Trasporti

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Ad Alitalia non serve un commissario italiano ai Trasporti

09 Giugno 2008

Il caso Alitalia è approdato a Bruxelles nel peggiore dei modi possibili. Non era necessaria la sfera di cristallo per predire che la Commissione avrebbe aperto, come atto dovuto, un’indagine formale sulla sospetta natura di aiuto di stato dell’ex prestito “ponte” da 300 milioni divenuto, per scelta del governo Berlusconi, un contributo alla ricapitalizzazione dell’azienda.

La vicenda, com’è noto, nasce da lontano e l’ultimissima versione del provvedimento deve ancora essere scritta e approvata dal Parlamento. Ma si sa sin d’ora che contro le scelte del governo si sono scagliate alcune compagnie europee come British Airways e Ryanair obbligando la Commissione a raddoppiare la vigilanza in un settore dove la libera concorrenza non prevede sistemi regolatori come gli aiuti di stato, mettendo così a dura prova gli operatori.

Stando alle indiscrezioni, il governo dovrebbe essere riuscito ad evitare l"ingiunzione di recupero", cioè la misura cautelare di sospensione del provvedimento prima del giudizio di merito. Difficilmente però, a meno che la mitica cordata italiana e altri partners si facciano avanti a breve, riuscirà a far passare come aiuto compatibile la ricapitalizzazione resasi necessaria per non portare i libri in tribunale e non finalizzata direttamente alla privatizzazione, visto che nella precedente delibera favorevole all’ennesima iniezione di denaro pubblico nell’azienda si era detto "la prossima non prima del 2011".

Ma non è tutto. Quello su cui c’è da interrogarsi e’ la fondatezza di aver scelto proprio questo momento così delicato per cambiare portafoglio italiano, dopo le dimissioni di Frattini, puntando proprio su quello dei trasporti e lasciando quello assolutamente centrale, in questa fase politica, degli affari interni e della giustizia, vale a dire il contrasto all’immigrazione clandestina, la sicurezza comune, le regole sul diritto di asilo eccetera.

Se si pensava, un po’ all’italiana, che questa “trovata” avrebbe aiutato la soluzione dei dossier più spinosi per il nostro paese in materia di trasporto e infrastrutture, beh non si è tenuto conto che a volte il meglio è nemico del bene. Antonio Tajani, europarlamentare di lungo corso che tuttavia di trasporti non si è mai occupato, deve ancora affrontare il suo "battesimo del fuoco" con l’audizione confermativa della sua nomina che avverrà il 16 giugno prossimo davanti alla commissione competente del PE. Ma da lì in poi sarà un commissario "sotto osservazione" proprio sui dossier che più direttamente riguardano il suo paese, come avviene per tutti gli altri membri del collegio. Esiste infatti una legittima suspicione sulla tendenza naturale a favorire il proprio paese che fa sì che si è guardati a vista proprio quando un potenziale conflitto di interesse può pregiudicare l’immagine complessiva della Commissione. Commissione, poi, che gioca in difesa da molti anni e certo non ha alcun interesse a veder minata la sua credibilità alla vigilia del suo rinnovo l’anno prossimo.

Chi ha scelto i trasporti  – o per meglio dire chi ha accettato il "deal" confezionato dai francesi che hanno scambiato i portafogli a profitto del loro rappresentante a Bruxelles proprio nel momento in cui assumono la presidenza semestrale dell’Unione in previsione della quale hanno messo le questioni dell’immigrazione in cima alle loro priorità – non ha calcolato a fondo tutte le conseguenze di una sovraesposizione in un dossier in cui abbiamo non solo Alitalia da farci perdonare ma anche i ritardi sul progetto Tav e altre grandi opere.
E ora, paradossalmente, sul dossier Alitalia  tocca proprio a Tajani istruire la pratica di “bocciatura” da parte di Bruxelles.