Addio a Berselli, “compagno” disilluso e irriverente della cultura italiana
12 Aprile 2010
di Daniela Coli
Quando tra le news è apparsa la notizia della morte di Edmondo Berselli ho pensato che Eddybersel non si meritava questo tiro mancino così presto. Lo avevo conosciuto insieme a Giovanni Evangelisti, alla Carloni, a Ugo Berti, quando il Mulino decise di pubblicare la mia tesi di dottorato su Croce, dove dimostravo che Croce non era affatto provinciale, come negli anni ’80 era un must affermare. Il Mulino di allora era una casa editrice estremamente aperta e per una giovane dottoranda essere accolta da Evangelisti, che ti portava a pranzo, raccontando della cena della sera prima con Braudel era una bella emozione.
Era Bologna: aperta, pragmatica e diretta. Berselli era allora redattore e sapeva il fatto suo: con una battuta sintetizzava un autore, un libro, un’intera collana. Per il primo numero della mia rivista “Palomar”, nel 2000, gli chiesi un articolo sull’identità italiana e lui inviò un concentrato d’ironia sulle canzonette, alla faccia del fido maestro Theodor Ludwig Wiesengrund Adorno.
Intellettuale raffinato, aveva dedicato un libro alle canzonette e al calcio. Sono solo canzonette? – chiedeva – ma il partito di Lennon-McCartney e il movimento di Jagger-Richards hanno fatto la Grosse Koalition della memoria. Battisti non piaceva agli intellettuali, ma il popolo lo amava. Chiedere le dimissioni del popolo o di Battisti? “Qualcuno potrebbe alzare la manina – concludeva – e chiedere se da questi riascolti viene fuori un rispecchiamento dell’Italia? E io rispondo: rispecchiamento? Quella cosa ottocentesca, balzacchiana? Ma non l’avevamo liquidato per sempre con il semi-dimenticato cantautore ungherese Lukács?”
Questo era Edmondo Berselli, non quello della politica spicciola degli editoriali di “Repubblica” o dell’”Espresso”, ma quello di Venerati maestri, operetta immorale sugli intelligenti d’Italia, un libro da ridere per una cultura da piangere.
Berselli era un “compagno” disilluso dalla cultura di sinistra, che conosceva benissimo, dalle strutture alle sovrastrutture. Si divertiva a prendere in giro il rigorosissimo Bobbio, il Fondatore Scalfari, i misteri orfici e gli oracoli delfici della Mitteleuropa di Calasso e dell’ Adelphi, come le bianchissime, accecanti copertine di Einaudi. Senza contare il ventaglio di figurine dei protagonisti dei media, le grandi firme dei nostri giornali, con i tic, le spocchie, le banalità sul trash. Indimenticabili le riflessioni su Paolo Mieli, il trash e Magris. “Chissà se Magris non avesse voglia, di trovare un filo rosso nel trash televisivo, un raggio ultravioletto che illumini l’orlo dell’immaginario di massa, dal kitsch al trash. E il camp, e il cult, naturalmente”.
Ci mancherà Edmondo Berselli, l’irriverenza, l’intelligenza, la cultura mai sciorinata. Ci mancheranno i tanti libri che avrebbe scritto.