Addio Václav Havel, eroe della democrazia

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Addio Václav Havel, eroe della democrazia

29 Dicembre 2011

Il 18 Dicembre 2011 si spegneva Václav Havel, ultimo presidente della Cecoslovacchia e primo presidente della Repubblica Ceca. Non solo uomo politico ma anche apprezzato scrittore e drammaturgo, Havel è stato soprattutto un’icona della lotta al totalitarismo sovietico.

Vorrei ricordarlo attraverso una lettera che scrisse nel 2004 (pubblicata in Italia da la Repubblica http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2004/11/17/che-cosa-rimasto-della-rivoluzione-di-velluto.html ) in occasione del 15° anniversario della “Rivoluzione di Velluto”, che portò alla caduta non violenta del regime comunista in Cecoslovacchia nel 1989 e all’instaurazione di una democrazia nel paese.

Che cosa è rimasto della Rivoluzione di Velluto

«Dopo la “Rivoluzione di Velluto” del 17 novembre 1989, che pose fine a 41 anni di dittatura comunista in Cecoslovacchia, oggi viviamo in una società democratica. Eppure sono in molti – e non soltanto nella Repubblica ceca – a credere ancora adesso di non essere i veri padroni del proprio destino, ad aver perso la fiducia di poter influenzare effettivamente gli sviluppi politici, tanto meno influenzare la direzione nella quale si sta avviando la nostra civiltà.

In epoca comunista la maggior parte delle persone credeva che gli sforzi individuali miranti a indurre un cambiamento non avessero senso. I leader comunisti sostenevano che il sistema fosse il risultato di leggi storiche oggettive e incontestabili che non potevano in alcun modo essere messe in discussione, e tutti coloro che rifiutavano questa logica erano puniti, giusto per sicurezza.

Purtroppo, il modo di pensare che aveva sorretto la dittatura comunista non si è dissolto interamente: alcuni politici e alcuni sapientoni affermano ora che il Comunismo è semplicemente crollato sotto il proprio peso – dunque piegandosi, ancora una volta, alle «leggi incontestabili» della Storia.

Ancora una volta, perciò, la responsabilità e le azioni del singolo individuo ne escono del tutto irrilevanti. Il Comunismo – così ci è stato detto, in sostanza – è stato soltanto uno dei vicoli ciechi del razionalismo occidentale: bastava attendere passivamente che venisse meno da solo.

Le medesime persone credono spesso in altre manifestazioni dell’ineluttabilità, per esempio in presunte leggi di mercato, in altre «mani invisibili» che dirigono il corso della nostra vita. Poiché in questo tipo di ragionamento non vi è spazio alcuno per l’azione morale dell’individuo, spesso chi critica la società è deriso alla stregua di un ingenuo moralista o di un elitista. Forse questo è uno dei motivi che spiega, a tanti anni di distanza dalla caduta del Comunismo, perché ancor oggi assistiamo a un’apatia politica. Sempre più spesso la democrazia è ritenuta un puro e semplice rituale. In linea generale, tutte le società occidentali stanno sperimentando – così pare, almeno – una certa seria mancanza di ethos democratico e di partecipazione attiva della cittadinanza. È anche possibile che ciò cui stiamo assistendo sia una mera trasformazione paradigmatica, provocata dalle nuove tecnologie, e che pertanto non vi sia motivo di preoccupazione. Forse, però, il problema ha radici più profonde: le corporation globali, i cartelli dei mezzi di informazione, i potenti apparati burocratici stanno trasformando i partiti politici in organizzazioni il cui compito principale non è più il servizio pubblico, bensì la protezione di determinate clientele e interessi particolari. La politica sta diventano il terreno di battaglia dei lobbisti; i media banalizzano i problemi più seri; la democrazia spesso sembra più un gioco virtuale per consumatori che una seria attività per cittadini impegnati.

Quando sognavamo un futuro democratico noi, che all’epoca eravamo dissidenti, sicuramente nutrivamo alcune illusioni utopistiche di cui oggi siamo più che consapevoli. Tuttavia, non ci sbagliavamo quando affermavamo che il Comunismo non era soltanto un vicolo cieco del razionalismo occidentale. Nel sistema comunista la burocratizzazione, la manipolazione anonima, l’enfasi sul conformismo di massa arrivarono a un livello di “estrema perfezione”, ma alcune di queste stesse minacce sono tuttora presenti tra noi.

Già allora eravamo convinti che se la democrazia è svuotata di valori, se si riduce a mera rivalità tra partiti politici che hanno soluzioni «garantite» per qualsiasi problema, di fatto non si tratta più di democrazia. Ecco la ragione per la quale abbiamo voluto dare un’enfasi tutta particolare alla dimensione morale della politica e al coinvolgimento della società civile, due elementi indispensabili per controbilanciare i partiti politici e le istituzioni dello Stato.

Sognammo anche qualcosa di più: un ordine internazionale più giusto. La fine del mondo bipolare rappresentò la grande occasione di rendere più umano l’ordine internazionale. Invece, abbiamo assistito a un processo di globalizzazione economica che è andato sfuggendo al controllo politico e che, in quanto tale, sta provocando scompigli economici e devastazione ecologica in molte aree del pianeta. La caduta del Comunismo ha offerto l’opportunità di creare istituzioni politiche globali più efficienti, che avessero le loro premesse nei principi democratici, e fossero in grado di arginare quella che nella sua forma attuale appare una tendenza autodistruttiva del nostro mondo industriale.

Se non intendiamo essere travolti da forze sconosciute, i principi di libertà, eguaglianza e solidarietà – fondamenti stessi della stabilità e della prosperità delle democrazie occidentali – devono iniziare a essere applicati a livello planetario. Cosa ancor più importante, oggi è indispensabile, come già in epoca comunista, non perdere fiducia nell’importanza dei centri alternativi di pensiero e di azione civile. Non dobbiamo consentire di essere manipolati al punto da essere indotti a credere che i tentativi di cambiare l’ordine «costituito» e le leggi «incontestabili» non hanno importanza. Cerchiamo piuttosto di realizzare una società civile a livello globale, e ricordiamoci di insistere su un punto: la politica non è soltanto l’aspetto tecnologico del potere. La politica deve avere una dimensione morale.

Al tempo stesso, i politici dei Paesi democratici devono riflettere seriamente sulla riforma delle istituzioni internazionali, perché abbiamo disperatamente bisogno di istituzioni in grado di occuparsi di una vera governance globale. Potremmo iniziare, per esempio, dalle Nazioni Unite che nella loro forma attuale sono soltanto la reliquia di una situazione risalente alla fine della Seconda Guerra Mondiale. Questa istituzione non riflette adeguatamente l’influenza e il peso di alcune nuove potenze regionali, mentre mette immoralmente sullo stesso piano Paesi i cui rappresentati sono stati democraticamente eletti e Paesi i cui rappresentanti parlano soltanto per sé stessi o, quanto meno, per le loro giunte.

A noi europei spetta un incarico del tutto particolare. La civiltà industriale che ora si estende a tutto il mondo, ebbe le sue origini in Europa. Tutti i miracoli che essa rende possibile, così come tutte le terribili contraddizioni che essa comporta, possono essere considerati il frutto di un ethos che in origine è stato europeo.

Perciò, l’unificazione dell’Europa deve essere di esempio al resto del mondo, deve dimostrare come far fronte ai vari pericoli e alle barbarie di cui oggi siamo preda.

In realtà, una simile missione – strettamente correlata al successo dell’integrazione europea – costituirebbe l’effettiva concretizzazione del senso europeo di responsabilità globale, e senza alcun dubbio rappresenterebbe una strategia migliore rispetto a quella di limitarsi a condannare l’America per i problemi che affliggono il mondo contemporaneo.» VÁCLAV HAVEL