Adesso Putin tenga a bada Assad
08 Aprile 2017
L’azione militare decisa da Trump in risposta all’attacco con armi chimiche attuato dal regime di Bashar Assad a Khan Cheikoun, rappresenta un segnale di come la nuova Amministrazione intenda esercitare un ruolo più attivo nelle vicende siriane ma non costituisce comunque il primo passo verso un impegno militare diretto di Washington. L’iniziativa della Casa Bianca va inquadrata in un contesto che sul piano internazionale coinvolge i rapporti tra Trump e Putin mentre su quello interno costituisce un’aperta sconfessione della linea politica adottata dalla precedente Amministrazione Obama, che aveva preferito attuare quella che veniva definita come “leadership da dietro le quinte” e verso la quale il nuovo Presidente americano aveva espresso tutte le sue critiche, sottolineando come proprio la mancata azione da parte statunitense avrebbe permesso al regime di Bashar Assad di far uso delle armi chimiche. Sul piano dei rapporti con la Russia, l’azione decisa da Trump, come ha evidenziato in un suo editoriale il New York Times, vuole essere un segnale che la Casa Bianca manda al Cremlino, un segnale rafforzato anche dalle dichiarazioni rilasciate dal Segretario di Stato Tillerson per il quale Mosca è venuta meno al suo impegno preso dopo la crisi del 2013 di mettere in sicurezza l’arsenale chimico di Damasco, aggiungendo inoltre come la Russia si sia dimostrata in questo “complice della Siria” o semplicemente “incompetente” nel rispettare i termini dell’accordo siglato quattro anni fa.
E’ evidente quindi come la Siria sia oggi solo un ulteriore elemento di tensione nei rapporti tra Mosca e Washington, e questo nonostante il fatto che gran parte degli osservatori riteneva come la nuova Amministrazione potesse invece adottare un approccio ben più distensivo di quello fino ad allora seguito da Obama. In questo quadro, l’azione militare americana rappresenterebbe quindi un avviso mandato da Washington per invitare il Cremlino a limitare il peso politico di Bashar Assad cercando inoltre di far comprendere a Putin che, qualora non fosse in grado di esercitare delle pressioni adeguate sul regime di Damasco, gli Stati Uniti si assumeranno il compito di prendere ulteriori iniziative per rafforzare la loro posizione sullo scacchiere siriano. Tuttavia, non va dimenticato come, a differenza di quanto sostenuto dall’Amministrazione Obama per la quale la sostituzione di Bashar Assad costituiva un punto fondamentale della politica siriana di Washington, Trump ha sempre sostenuto come la sua rimozione non costituisce un impegno primario per gli Stati Uniti, venendo data la priorità alla sconfitta delle forze dell’ISIS che operano sul territorio siriano. Sul piano militare, come ricordato prima, appare difficile che l’azione decisa Trump possa portare ad un diretto coinvolgimento militare americano.
Come sottolineano gli analisti, un attacco alle postazioni militari siriane porrebbe gli Stati Uniti e la Russia davanti al rischio di uno scontro aperto, senza contare come le eventuali perdite iraniane che si verrebbero a contare – all’interno delle installazioni siriane sono difatti presenti numerose unità militari di Teheran – spingerebbe molto probabilmente il regime iraniano a rispondere con un’azione asimmetrica, ovvero a prendere di mira gli obiettivi americani in Siria oppure ad utilizzare gli “Hezbollah” per azioni contro Israele. Inoltre nella situazione attuale Washington necessita comunque dell’appoggio russo per continuare le operazioni che stanno procedendo nell’est del Paese e che dovrebbero portare alla riconquista di Raqqa, mentre non va dimenticato come una più incisiva azione militare finirebbe per indebolire pesantemente il regime di Bashar Assad provocandone probabilmente il crollo. E questo, paradossalmente, finirebbe inevitabilmente per avvantaggiare l’ISIS che così non troverebbe più ostacoli per radicarsi in Siria, compromettendo così tutta la strategia di contrasto al terrorismo seguita da Trump. Non meno complicata appare poi la situazione dal lato politico. Se Putin ha già definito l’azione un “colpo significativo” alle relazioni tra i due Paesi sospendendo la condivisione di informazioni con Washington sulle operazioni aeree così da evitare potenziali incidenti, nella situazione siriana un più stringente impegno militare americano avrebbe solo l’effetto di rafforzare ulteriormente l’alleanza tra Mosca e Damasco, ovvero, proprio quello che gli Stati Uniti vorrebbero evitare. L’unica soluzione realistica per risolvere la crisi siriana appare quindi quella diplomatica. Solo che gli obiettivi delle parti coinvolte continuano a rimanere più che mai distanti e divergenti.
(AFP – Nella foto, l’ambasciatore Usa alle Nazioni Unite, Nikki Haley, durante la riunione del Consiglio di Sicurezza dopo lo “strike” americano contro la Siria)