AfD: Merkel perde voti, Germania perde identità
16 Marzo 2016
L’esito dei tre voti regionali di domenica in Germania è stato riassunto così dai media: “Schiaffo alla Merkel”; “Il partito della destra populista avanza”; “Ma la nostra linea non cambia”. Per qualcuno questa è semplicemente la prova che Unione Europea e democrazia non sono più compatibili. In realtà è tutto meno banale. E come per ogni fenomeno storico, anche il segnale che ieri ha mandato al mondo intero la Germania, non è che l’esito di un processo.
Il voto tedesco pesa perché il governo di Berlino, dal primo istante in cui quello dei cosiddetti migranti è iniziato ad essere un problema serio, ha lanciato un messaggio ben preciso. Certo, non è stato l’unico, così come non è stata solo la politica ad esporsi in una certa direzione. Ma non si è fatto altro che dare man forte ai flussi migratori, si è dato un numero esorbitante di persone in pasto ad una illusoria speranza, niente di più.
Per capire che l’idea per cui la crisi si sarebbe risolta semplicemente aprendo le porte, senza quote e senza filtri, fosse un “umanitarismo” che assomiglia più ad un’ipocrisia finto ingenua che ad altro, non occorreva essere esperti di geopolitica. In pochissimo tempo, l’Europa intera si è trasformata in un piazzale di sosta permanente. E ogni singolo migrante è stato, così, fagocitato da una politica economica, culturale e religiosa abbagliata dal buonismo di un mitico ‘no’ alle frontiere. Costringendo a sognare un’Europa che non è mai esistita, e a una nuova vita che non arriva così.
Più o meno a novembre 2015 il pastore di una chiesa evangelica a Oberhausen offriva alle autorità tedesche la sua chiesa per ospitare migranti. Annunciando che, per evitare di mostrarsi “offensivo” nei confronti dei musulmani, avrebbe spogliato la chiesa di ogni simbolo cristiano. A dicembre 2015 la Merkel diceva che accoglierli era “un imperativo umanitario”. E nello stesso periodo il Telegraph, citando fonti di intelligence britannica, scriveva: “Lo stato islamico sta sfruttando abilmente la crisi dei migranti per trasferire cellule terroristiche dalla Siria nei principali paesi europei, tra cui il Regno Unito”.
Due mesi fa, mentre il Parlamento danese votava una legge per sequestrare ai richiedenti asilo i beni superiori ai 1350 euro, il presidente del Länd tedesco della Baviera minacciava la Merkel con un ricorso alla Corte costituzionale, nel caso in cui il governo di Berlino non avesse adottato “immediatamente una serie di misure correttive alla politica della porta aperta”.
Poi, una mattina, a Bruxelles si sono svegliati e si sono trovati di fronte la fermezza di Austria, Svezia, Danimarca, Macedonia, Slovenia, Croazia, Serbia e Ungheria già pronte ad attuare le restrizioni all’ingresso degli immigrati. E il pensiero di blindare i confini con una barriera, ha finito per contagiare anche Estonia, Lettonia e Lituania. Non si tratta di un’Europa che sta cambiando bandiera (forse prima ne aveva una in particolare?). Il partito xenofobo non è diventato la moda del momento.
La storia del dialogo e della tolleranza a tutti i costi è semplicemente fallita, come tutte le bugie. I cittadini d’Europa ogni giorno sperimentano le difficoltà dell’integrazione sulla propria pelle. Perché del dialogo a loro poco importa. E i fatti di Colonia sono una risposta pressoché definitiva a qualsiasi obiezione. Ci avevano ubriacati di multiculturalismo, ma l’effetto sta finendo. Quel multiculturalismo che da decenni sostiene la necessità di uno stato che la smetta di essere garante di una cultura di riferimento, per non correre il rischio di dover, poi, costringere l’immigrato ad accettarla.
La società multiculturale ha detto a quanti arrivano nelle nostre città: sentitevi liberi di contravvenire alle nostre regole e ai nostri principi. I vostri sono altrettanto buoni, anzi molto probabilmente sono anche migliori. Il multiculturalismo ha ripudiato le radici, ha rinunciato senza beneficio d’inventario all’eredità. Ha indebolito l’Occidente nell’autocensura, ha disorientato gli uomini di Chiesa, ha fatto collassare il sistema educativo, ha sputato sulla tradizione.
I qualunquisti la smettano di nascondersi dietro il paravento delle inflazionate ‘islamofobia’ e ‘xenofobia’ perché non possiamo essere schizofrenici, sventolare continuamente la bandiera dei diritti umani, per poi mettere le culture tutte sullo stesso piano, oscurandone le differenze valoriali. Per oltre millequattrocento anni l’Occidente ha dovuto resistere all’Islam aggressore, avvertendo una minaccia morale ben maggiore d’una delle tante conquiste militari.
D’improvviso l’intellettuale occidentale ha deciso che resistere per conservare la propria identità non era più cosa buona e giusta, perché né buona né giusta è la stessa idea d’identità. E servendosi del relativismo ha portato all’adozione di un credo utopistico basato su una pretesa fraternité universale, più sempre che spesso matrice di guerre e persecuzioni violente.
Il risultato è stato un’ondata massiccia di profughi e migranti che non possiamo definire ‘invasione’ perche è parola che la retorica buonista teme. Probabilmente la più urgente missione per l’Europa è dunque ricostruire la coscienza della propria identità sulle fondamenta del pensiero forte che l’ha formata. Allora nessuna ondata migratoria potrà più farle paura.