Afghanistan, contro il narcotraffico scendono in campo i leader religiosi

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Afghanistan, contro il narcotraffico scendono in campo i leader religiosi

03 Ottobre 2008

Il problema dell’oppio è così radicato nel tessuto socio-economico dell’Afghanistan che il suo contrasto è stato persino inserito nella Carta Costituzionale del Paese. L’articolo VII recita così: “…lo Stato previene ogni tipo di attività terroristica, di coltivazione e di spaccio di sostanze stupefacenti, di produzione e di consumo di sostanze inebrianti”. 

I notevoli sforzi per combattere la produzione ed il contrabbando di oppio, svolti quotidianamente dalle forze internazionali in sinergia con le Autorità afghane, stanno iniziando a dare risultati positivi. Secondo il recente rapporto dell’Ufficio delle Nazioni Unite contro la Droga e il Crimine (UNODC) la superficie di terra coltivata a papavero è passata dai 193.000 ettari del 2007 ai 157.000 ettari dell’anno in corso, con un decremento pari al 19%; mentre la produzione è scesa del 6% (7.700 tonnellate a fronte di 8.200), a causa della maggiore resa per ettaro coltivato (48,8 kg rispetto al 42,5 dell’anno precedente). Le province maggiormente interessate da questa diminuzione sono state quelle in cui il controllo delle forze di sicurezza e la distribuzione degli aiuti umanitari è stata più efficace. 

Circa il 98% della produzione di oppio è concentrata nell’area meridionale e sudoccidentale del Paese, dove si registra la maggiore presenza dei guerriglieri Talebani e delle organizzazioni criminali dedite al narcotraffico. Solo nella provincia di Helmand, una delle principali roccaforti dei movimenti Talebani, sono stati prodotti i due terzi dell’oppio afghano (103.600 ettari coltivati). 

Le strategie di contrasto al narcotraffico attuate dalla coalizione internazionale tendono a minare il forte legame che unisce la guerriglia talebana, i narcotrafficanti e i cosiddetti “signori della guerra”. Questi legami sono definiti dalle Autorità britanniche come delle “alleanze di convenienza”, in cui i proventi derivanti dall’oppio servono per arruolare i membri delle tribù nelle fila dei sodalizi criminali o dei talebani. Per contrastare questa spirale perversa, diversi metodi di contrasto e nuove proposte sono state avanzate dagli organismi internazionali. 

I pilastri fondamentali sui quali si basa la strategia anti-narcotici sono i seguenti: campagna di sensibilizzazione della popolazione, riforma della giustizia, assistenza ad uno sviluppo economico ed agricolo alternativo, operazioni di interdizione del narcotraffico e una massiccia campagna di eradicazione del papavero.

La più efficace azione di eradicazione è avvenuta con l’uso di erbicidi, grazie ai quali sono diminuite le terre coltivate ma, al contempo, ha anche sollevato delle polemiche. Le obiezioni sono sorte per il timore che la distruzione dei campi, privi la popolazione del sostentamento economico principale e quindi, se contestualmente non vengono adottate delle alternative immediate, gli agricoltori diventano facilmente preda delle bande criminali e dei movimenti talebani. Proprio in riferimento a questo, il rapporto delle Nazioni Unite ha evidenziato come con l’aumentare dell’eradicazione dei campi, si è avuto un incremento degli attentati (anche suicidi) contro le forze di sicurezza. Solo per la cornice di sicurezza garantita durante il processo di distruzione dei raccolti, 78 poliziotti afghani sono rimasti uccisi nel corso di quest’anno a fronte di 19 vittime nel 2007. 

Nelle aree dove la minaccia talebana e dei narcotrafficanti è maggiore, per evitare attacchi contro le forze di sicurezza si è intensificato l’uso di erbicidi lanciati da vettori aerei, considerata una tecnica più economica ed efficace nel breve periodo. Ma anche questa soluzione ha ingenerato divisioni all’interno dell’establishment afghano. Gli oppositori all’utilizzo degli spray erbicidi, tra i quali figura anche il Presidente Hamid Karzai, temono che possano danneggiare la salute delle persone e del bestiame, in quanto inquinerebbero le falde acquifere e le altre coltivazioni; mentre i fautori, come il vice Presidente Ahmad Zia Massoud, sostengono che se utilizzato oculatamente sia più efficace degli investimenti effettuati per progetti di irrigazione e costruzione di strade nell’area di Helmand, che hanno invece facilitato la produzione ed il trasporto di droga piuttosto che per un reale sviluppo socio-economico. 

Contrari alla strategia americana di eradicazione del papavero si sono mostrati alcuni parlamentari e militari inglesi riuniti nel gruppo Poppy Relief, e taluni organismi internazionali come il Senlis Council. Questi gruppi suggeriscono la strategia del Poppy for Medicine, ovvero la legalizzazione della produzione di oppio da destinare a scopi medici, per la produzione di morfina ed antidolorifici, al fine di superare il processo di eradicazione che ha avuto come risultato – fino al 2007 – l’aumento della superficie coltivata a papavero. Mentre altri organismi internazionali hanno avanzato il loro scetticismo nei confronti della legalizzazione. Secondo questi ultimi tale scelta potrebbe compromettere gli sforzi della campagna contro la droga e rendere più difficile per le Autorità afghane impedire che l’oppio prodotto legalmente non venga venduto nel mercato illegale, continuando così a corroborare le attività dei narcotrafficanti.    

La produzione di oppio, di cui il Paese ha il primato mondiale, rappresenta un’importante fetta del PIL nazionale (13 %) con un fatturato che si aggira intorno al miliardo di dollari. Solo quest’anno il raccolto ha coinvolto circa 360.000 famiglie, registrando comunque un notevole decremento rispetto allo scorso anno (509.000). 

In un territorio in gran parte affetto da “stress idrico”, la coltivazione del papavero da oppio, il quale cresce prettamente in aree semiaride, dagli anni ‘70 in poi ha costituito un’importante fonte di reddito, creando però nel tempo una società incapace di trovare una fonte alternativa all’oppio per la propria sussistenza. In una struttura tribale, dove la terra è controllata dai notabili locali, la coltivazione del papavero è spesso l’unica possibilità per i contadini di accedere alla terra e dedicarsi ad una minima agricoltura di sussistenza. Una volta raggiunto questo obiettivo, i contadini entrano in una circolo vizioso che rende difficile qualsiasi alternativa. Secondo la pratica dei saalam, i narcotrafficanti concedono crediti ai contadini, acquistando l’oppio prima che venga raccolto, ma se la produzione non arriva a coprire il debito, i contadini sono costretti a posticiparlo innescando un meccanismo perverso che finisce per vincolarli indissolubilmente a questa coltivazione. 

Per uscire da questa spirale drammatica, le Autorità locali ed internazionali hanno dato molto peso al coinvolgimento dei leader religiosi afghani, ai quali è stato chiesto di denunciare la natura fortemente “anti-islamica” della droga, attraverso una serie di incentivi e disincentivi. Gli incentivi, come i prestiti per convertire la coltura, hanno dato mediamente risultati positivi. Tra le colture alternative spicca lo sviluppo dello zafferano che ha una resa media, per ettaro, di 12 kg di prodotto, venduto sul mercato della città a 1.500 al kg. La gran parte della produzione di zafferano è concentrata nell’area di Herat, dove 2.350 militari italiani sono impegnati ogni giorno a garantire la sicurezza della popolazione afghana e affinché programmi di sviluppo come questo non vengano minacciati dai sodalizi criminali. 

La produzione di oppio, dal quale deriva anche l’eroina, è una minaccia per la popolazione mondiale e per gli stessi afghani. Secondo alcune stime, il numero di afghani che fa uso di sostanze stupefacenti raggiunge il milione, e tale cifra può diminuire solo grazie ad ingenti aiuti da parte della comunità internazionale miranti a far uscire le masse contadine dall’arretratezza e dall’isolamento.