Afghanistan, l’Olanda pronta al ritiro ma la missione Nato continuerà
09 Ottobre 2009
La notizia è una di quelle destinate a suscitare preoccupazione. Il Parlamento olandese ha votato a larga maggioranza una mozione che approva il ritiro delle truppe dalla missione Isaf della Nato in Afghanistan entro l’agosto del 2010. La proposta è arrivata dal Partito del Lavoro e dai Cristiano Uniti, mentre il partito di governo, i Cristiano Democratici del premier Jan Hans Balkenende sono stai contrari fin da subito. L’Isaf, l’International Security Assistance Force, è una missione di supporto al governo afghano, costituita nel 2001 su mandato del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni UnitE. Inizialmente, le forze di pace avevano il compito di sorvegliare la capitale Kabul e la base aerea di Bagram, nel sudest del paese, ma soltanto due anni dopo il Consiglio decise di estendere l’area di competenza della missione all’intero territorio afghano. Il governo dell’Aja però era già sceso in campo a fianco della missione americana Enduring Freedom, contro il regime dei Talebani e le basi di al Qaida. Poi nel 2003 le truppe olandesi sono entrate anche nella missione Isaf.
La notte tra il 2 e il 3 ottobre 2006 le luci del Parlamento olandese rimasero accese fino a tarda notte, quando il premier Balkenende annunciò che l’Olanda avrebbe inviato fra i 1200 e i 1400 soldati per partecipare alla missione Isaf nel sud dell’Afghanistan. I rinforzi avrebbero dato man forte ai propri connazionali, circa 600, che insieme a canadesi e britannici controllavano la turbolenta zona intorno alla città di Kandhar. Parole, quelle di Balkenende, che ai più non risultarono scontate. La coalizione di governo, infatti, non si era presentata compatta. I sei deputati del partito Liberale, D66, alleati dei Cristiano Democratici, si erano già detti pronti a votare contro. Decisivo si rivelò l’intervento del partito Laburista di Wouter Bos che, forte dei suoi 42 seggi, si pronunciò a favore e permise l’operazione di peacekeeping.
Negli ultimi anni la presenza dei militari olandesi in Afghanistan non è passata inosservata. Dal 2006, 21 soldati sono morti negli scontri con i Talebani e gli insorti. Fra loro anche il figlio del capo di stato maggiore dell’Aja, Dennis van Uhm, ucciso a soli 23 anni insieme a un suo commilitone, mentre rientravano alla base nella provincia meridionale dell’Uruzgan. Un attentato subito rivendicato dai Talebani, che vollero punire gli Alleati “per aver invaso l’Afghanistan e insultato l’Islam”. Tre anni durante i quali oltre al dolore dei familiari delle giovani vittime, non sono mancate le critiche per la gestione (azzardata) di alcune operazioni. L’ultima delle quali si è verificata soltanto qualche giorno fa. Secondo un comunicato del comando Nato a Kabul “un certo numero di civili, adulti e bambini” sono rimasti uccisi in un bombardamento delle forze alleate nel distretto di Nad Ali, nella provincia meridionale di Helmand. Un caccia F16 olandese, decollato dalla base aerea di Kandahar, ha sganciato una bomba pilotata con l’obiettivo di colpire una costruzione dove si trovava un gruppo di Talebani. Che poi quest’ultimi avessero deciso di trattenere civili nell’edificio in questione non lo si poteva immaginare, ha spiegato il comando olandese, precisando di aver rispettato tutte le procedure per identificare i combattenti nemici. Da qui il malcontento dell’opinione pubblica olandese.
L’aria che tira in Olanda di certo non è di buono auspicio e sembra ricalcare le incertezze e i dubbi che circolano anche in America sull’Afghanistan. Appena appresa la notizia del ritiro, il segretario generale della Nato, Anders Fogh Rasmussen ha reso omaggio “al lavoro e ai sacrifici fatti finora dagli olandesi in Afghanistan”, sottolineando quanto sia importante rispettare la volontà dei singoli paesi che decidono di aderire alla missione. Ma subito dopo, non ha potuto non precisare che ci “sarebbe un forte rammarico se gli olandesi decidessero di ritirarsi da questa missione”. E’ un momento critico, le difficoltà aumentano di giorno in giorno, e l’aiuto degli Alleati è sempre più necessario. Il generale americano Stanley McChrystal, di stanza in Afghanistan dal 2008 come nuovo comandante della missione Isaf, invoca una nuova strategia, più truppe sul terreno. Obama sembra incerto sulla risposta da dare. Da qui l’interrogativo per i 42 Paesi impegnati in Afghanistan. Seguire McChrystal, che parla di un conflitto ancora lungo e difficile, oppure assecondare le opinioni pubbliche nazionali, disilluse e stanche di pensare ai propri giovani soldati che rischiano ogni giorno la vita al fronte?
Alcune forze politiche olandesi, dunque, hanno scelto di cavalcare il malcontento popolare, una posizione che probabilmente servirà a calmare le acque sul fronte interno, ma che mette la Nato davanti a un dilemma: come reagire davanti alla defezione di uno dei Paesi membri? Che l’Olanda ami correre da sola lo si sapeva, con un referendum bocciò insieme alla Francia il Trattato Costituzionale per l’Europa. Ma questa volta c’è in gioco una missione che dura ormai da otto anni e che nelle parole di Obama “ non è una missione americana, ma della Nato”. Il voto olandese potrebbe innescare un effetto a catena? In Germania, ad esempio, l’opinione pubblica è favorevole al ritiro delle truppe e non a caso il tema afghano è stato il grande assente della campagna elettorale che ha preceduto le elezioni politiche di fine settembre.
In Gran Bretagna, il ministro ombra della Difesa, il tory Liam Fox, ha accusato pubblicamente il premier Gordon Brown di aver mandato truppe “catastroficamente mal equipaggiate” in Afghanistan. E gli inglesi, nell’ultimo mese di combattimento, hanno perso 21 soldati in azione (dal 2001 la cifra complessiva è di oltre 190 vittime). A Parigi, dove si piange la morte del 29esimo militare francese, l’opposizione inizia a dubitare della validità della missione e l’ex sessantottino – oggi parlamentare europeo – Daniel Cohn-Bendit, chiede una svolta. Lo scorso agosto, il ministro degli Esteri francese, Bernard Kouchner aveva invitato a “negoziare con i talebani”. Incoscienza o strategia politica? Forse soltanto disillusione. Il Canada ha già deciso di ritirare i suoi soldati entro il 2011.
Certo, il parlamento olandese potrebbe cambiare idea, la mozione del partito del Lavoro e dei Cristiano Uniti potrebbe andare in minoranza, ma bisogna considerare che solo il 20 per cento degli olandesi è disposto a lasciare le truppe in Afghanistan, mentre solo il 3 per cento è disposto a prolungare la missione oltre l’agosto 2010.
Ma non dobbiamo neppure cadere preda dello sconforto. La Nato può ancora contare su tutti i contingenti a disposizione, e per adesso Paesi come l’Italia, la Spagna e la Polonia, sembrano disposti a restare sul terreno, magari inviando anche dei rinforzi. Come ha spiegato il Capo di Stato maggiore della Difesa italiano, il Generale Camporini, intervenendo alla Conferenza sulle Relazioni Transatlantiche organizzata alla Farnesina dalla Fondazione Magna Carta, “il ritiro di un contingente è un’eventualità che si è già verificata in passato, ma non ha pregiudicato la natura delle missioni”.