Agli enti lirici non servono le proteste plateali ma gli investimenti privati

LOCCIDENTALE_800x1600
LOCCIDENTALE_800x1600
Dona oggi

Fai una donazione!

Gli articoli dell’Occidentale sono liberi perché vogliamo che li leggano tante persone. Ma scriverli, verificarli e pubblicarli ha un costo. Se hai a cuore un’informazione approfondita e accurata puoi darci una mano facendo una libera donazione da sostenitore online. Più saranno le donazioni verso l’Occidentale, più reportage e commenti potremo pubblicare.

Agli enti lirici non servono le proteste plateali ma gli investimenti privati

27 Giugno 2010

Il mondo della lirica non conosce pace e annuncia scioperi e mobilitazioni, nonostante il Senato abbia smussato gran parte delle asperità del decreto di riforma degli enti lirici che avevano indotto alla lotta i sindacati dello spettacolo. Il temuto prepensionamento dei corpi di ballo, che avrebbe concesso il privilegio ormai rarissimo di una pensione di vecchiaia al quarantacinquesimo anno di età a danzatori e danzatrici, è stato derubricato alla possibilità di esercitare un’opzione di restare in servizio fino al vecchio limite di 52 anni per gli uomini e di 47 anni per le donne. Il vituperato taglio del 50% alla remunerazione integrativa del personale di quelle fondazioni che non avrebbero rinnovato il contratto collettivo nazionale di lavoro entro un anno si è stemperato in un taglio del 25% per chi non sottoscriverà il CCNL entro due anni. Il Petruzzelli di Bari, unica tra le quattordici fondazioni lirico sinfoniche italiane, ha ottenuto una deroga al blocco delle assunzioni previsto per i prossimi due anni che le avrebbe impedito di adeguare l’organico alle attività previste con la riapertura del politeama barese.

Le aperture del Governo e della maggioranza hanno invero prodotto già una prima spaccatura tra il sindacato degli orchestrali, la Fials, e le rappresentanze delle maestranze tecniche: il corteo previsto il 22 giugno a Roma è stato revocato per indire un più semplice presidio sotto la sede del Ministero al Collegio Romano, mentre in alcune realtà alla cancellazione degli spettacoli si inizia a preferire un’esecuzione "di protesta", con strumentisti e coro vestiti in borghese. I lavoratori della lirica cominciano a rendersi conto, infatti, di non godere di un sostegno incondizionato, né politico nei partiti d’opposizione, né sociale nel proprio pubblico di riferimento.

All’Assemblea Nazionale del Pd lo scorso 22 maggio c’è stato chi ha contestato la scelta di aprire i lavori con un’esibizione degli ottoni dell’orchestra del Teatro dell’Opera di Roma. La decisione di affidare il palcoscenico a lavoratori iper tutelati nel momento in cui centinaia di migliaia di dipendenti dell’industria petrolchimica e manifatturiera sono in cassa integrazione è stata da alcuni autorevoli dirigenti democratici definita a dir poco bizzarra, se non inopportuna. Allo stesso tempo nei teatri gli spettatori accolgono con sentimenti contrastanti le letture di comunicati in sindacalese puro da parte delle maestranze in blue jeans prima della messa in scena dello spettacolo: agli applausi, infatti, si susseguono i "buu" e i "vergogna" lanciati non solo dal pubblico alto borghese della platea, ma anche dai loggionisti, come avvenuto all’ultima rappresentazione del Das Rheingold alla Scala.

Ciò nonostante proprio in questi ultimi giorni l’inasprimento della protesta investe, guarda caso, la Scala, uno dei pochi teatri virtuosi che dal decreto, grazie anche ai nuovi regolamenti che ne determineranno l’autonomia, trarrà solo vantaggi. L’occupazione simbolica degli uffici del Sovrintendente Stéphane Lissner e la cancellazione della replica del 23 giugno del Faust di Gounod per la regia di Nekrosius è solo l’ultimo atto di un crescendo che fa dei lavoratori scaligeri i più caldi nella protesta. Negli ultimi due mesi sono infatti già saltate una recita del Simon Boccanegra, una del balletto Trittico Novecento, una del Das Rheingold e, per l’appunto, due del Faust. Con notevoli danni al bilancio della Fondazione per i mancati incassi al botteghino, e non solo. Punire il pubblico, infatti, vuol dire dilapidare consensi, e per di più farlo nei giorni del difficile accordo tra Fiat e parti sociali per lo stabilimento di Pomigliano apre un serio interrogativo nell’opinione delle persone di ogni orientamento politico.

Dopo anni di sprechi, infatti, sembra ormai ineludibile il fatto che la congiuntura economica renda vieppiù insostenibili alcuni privilegi delle maestranze delle fondazioni liriche, incrostatisi negli anni di vacanza contrattuale. L’ultimo CCNL è stato firmato nel 2003. Da allora con minacce di scioperi alla "prima" o ammutinamenti nel retropalco si sono ottenuti notevoli aumenti retributivi attraverso i contratti integrativi, spesso in deroga allo stesso contratto nazionale. All’Arena di Verona il numero delle prestazioni degli orchestrali è decisamente inferiore a quello previsto dal CCNL, mentre l’indennità del lavoro a turni prevista esclusivamente per i tecnici di palcoscenico che partecipano allo spettacolo viene estesa a tutti, amministrativi compresi, anche se non vi prendono parte. Al Teatro dell’Opera di Roma l’ "indennità Caracalla", prevista per chi si esibisce o suona all’aperto, riguarda non solo artisti e tecnici ma anche gli amministrativi ed è estesa a tutti i tre mesi estivi e non solo ai venti giorni effettivi tra prove e rappresentazioni che si tengono nel sito archeologico. Tutto questo aumenta a dismisura le spese per il personale, cui è destinato ormai il 70% dell’intero contributo pubblico alla lirica, e incide pesantemente sulla produttività. Tanto è vero che la neo sovrintendente del Maggio Fiorentino, Francesca Colombo, fortemente voluta dal giovane sindaco Pd Matteo Renzi per rilanciare il teatro e raccogliere maggiori risorse private, è andata subito allo scontro con la CGIL presentando un piano di risanamento che individua proprio nei costi del personale un limite alla crescita dell’istituzione che dirige.

In questo settore iper sindacalizzato e estremamente conflittuale è difficile, questo il ragionamento, trovare privati che investano. Occorre risanare per rilanciare, tanto più se il regime fiscale per i donors non è particolarmente incoraggiante. Per questo il Ministro Bondi ha voluto ricordare quanto, una volta superata questa congiuntura, sia importante prevedere una defiscalizzazione totale per gli investimenti nel settore dello spettacolo dal vivo, sulla falsa riga di quanto fatto con le misure di tax shelter e tax credit per il cinema. In questo modo le Fondazioni liriche potranno aprirsi maggiormente al privato, se lo vorranno, godendo di una maggiore autonomia gestionale e proponendo una produzione artistica sempre di eccellenza, ma con una maggiore attenzione al mercato. Oppure affidarsi sostanzialmente al sostegno pubblico, con una programmazione di ricerca una maggiore attenzione al territorio e perseguendo una strategia di coproduzione e circuitazione internazionale dei grandi spettacoli, abbattendo i costi. O, infine, un giusto equilibrio tra le due vie.

Ma ogni alternativa sarà, appunto, frutto di una scelta e non il prodotto obbligato di una cattiva ibridazione tra pubblico e privato, come avviene oggi nelle Fondazioni liriche a causa di una pessima legge voluta da un Ministro, Walter Veltroni, la cui azione governativa nei beni culturali, una volta comunemente definita brillante, sta iniziando a conoscere una lenta ma inesorabile revisione.