“Agli italiani dico: il nucleare è l’energia più sicura per l’uomo”
28 Maggio 2010
Nonostante le polemiche, l’Italia volta pagina e dopo un sonno lungo 20 anni si prepara a riaccogliere il nucleare tra i suoi sistemi di approvvigionamento energetico. In attesa di una campagna d’informazione che faccia conoscere i benefici dello sfruttamento dell’atomo, l’opinione pubblica si presenta divisa. A complicare il quadro, le recenti dimissioni del ministro dello Sviluppo Economico Claudio Scajola e le resistenze delle Regioni ad ospitare i nuovi siti: due elementi che potrebbero ritardare il processo di nuclearizzazione in Italia. Di questo e di altro abbiamo parlato con Carlo Jean, presidente del Centro Studi di Geopolitica Economica, che ieri è stato il protagonista del quinto appuntamento del ciclo di incontri “Dialoghi DiVini”, organizzato a Roma dalla Fondazione Magna Carta. Un incontro che è servito per parlare della “geopolitica dell’energia” e delle peculiarità del sistema energetico nazionale.
Professore, come cambierà lo scenario energetico italiano con il ritorno al nucleare?
Il ritorno alla produzione dell’energia nucleare è un passo necessario perché è essenziale per lo sviluppo tecnologico dell’Italia che, dal referendum contro il nucleare, è rimasto bloccato e arretrato dal punto di vista energetico. L’atomo è inoltre importante perché le imprese italiane continuano a fare grossi investimenti all’estero – in Paesi come la Slovacchia, la Francia, la Slovenia, la Bulgaria e la Russia – impiegando quelle risorse economiche che oggi, in un momento così delicato come il dopo-crisi, sarebbero fondamentali per creare nuovi posti di lavoro, specialmente per i giovani. Per di più, la logica del “no al nucleare” ha spinto le imprese del settore a comprare l’energia prodotta in altri Paesi, talvolta anche vicino alle nostre frontiere, rendendo l’Italia sempre più dipendente dal punto di vista energetico.
Crede che il vuoto lasciato dalle dimissioni del ministro Scajola produrrà un rallentamento nel ritorno all’atomo?
No, per un semplice motivo: i provvedimenti fondamentali legislativi sono stati già stilati. Manca ancora la nomina dei componenti dell’Agenzia per la Sicurezza Nucleare (l’authority indipendente che sovrintenderà di fatto all’intero apparato di vigilanza sulla nuova fonte energetica del nostro Paese, ndr) da parte della Presidenza del Consiglio dei ministri e dai ministeri dell’Ambiente e dello Sviluppo Economico. Si potrebbe anche pensare ad una legge che autorizzi organi della Comunità Europea ad occuparsi dei controlli necessari, dalle verifiche della sussistenza dei requisiti di sicurezza e alla determinazione delle caratteristiche necessarie per la costruzione dei siti. E’ necessario inoltre la modifica dei decreti attuativi della legge sulle centrali nucleari perché, nell’applicazione di una direttiva europea, era filtrata una certa influenza ambientalista. Al momento, però, i maggiori problemi li danno la determinazione dei siti dove verranno costruite le future centrali nucleari e la scelta delle imprese che dovranno avere la qualifica nucleare e dovranno essere in condizioni di assicurare all’industria italiana una ricaduta di profitti sufficiente a recuperare gli investimenti fatti.
Parlando della localizzazione dei siti, secondo la sua esperienza quali sarebbero le Regioni italiane più adatte ad ospitare una centrale nucleare?
L’unica Regione che finora si è pronunciata favorevole al nucleare è il Piemonte che però non soddisfa del tutto il principale requisito necessario per creare un sito: la presenza massiccia di acqua. Le nuove centrali , infatti, sono strutture che consumano una grandissima quantità di acqua, facendo evaporare circa 6 metri cubi al secondo. I futuri siti nucleari italiani dovranno necessariamente trovarsi vicino al mare in modo da poter utilizzare l’acqua marina.
Come spiegherebbe agli italiani che l’energia nucleare è sicura?
Basterebbe far capire alla gente che quella nucleare è l’energia più umanitaria esistente al mondo. Infatti, se prendiamo il numero di vittime che si sono registrate producendo una stessa unità di energia, il settore che ha avuto più decessi è, di gran lunga, l’idroelettrico, seguito dalle morti registrate nelle miniere dove si estrae il carbone. Per quanto riguarda il nucleare, invece, nella storia si sono verificati solo due grandi incidenti: quello della centrale di “Three Mile Island”, vicina a New York, dove nel 1979 tre operai vennero irraggiati, ma non morirono e tutt’ora sono vivi grazie alle nuove cure e tecnologie mediche; e l’altra è la tragedia di Chernobyl, un incidente che è stato esaltato dai media. A dimostrare ciò, le grosse divergenze che appaiono nei due rapporti dell’Onu: in un rapporto si legge che dal 1986 ad oggi le vittime sono state 59, mentre nel secondo sarebbero 560. Quello che in realtà è costato molto, dal punto di vista economico, è stata la bonifica dell’area.
Però pesa la fuga di radioattività…
Sì, ma le faccio solo un esempio: a 1.500 metri dal reattore di Chernobyl c’è un tasso di radioattività inferiore a quello che si riscontra in Piazza San Pietro. E sa perché?
Perché?
La colpa è dei “sampietrini”, le pietre che servono per pavimentare le strade di Roma che derivano dalla roccia vulcanica in cui si trova il radon. Il risultato paradossale è che, se dovessimo basarci sui parametri stabiliti dagli ambientalisti (che per molti anni hanno "governato" al Ministero dell’Ambiente) bisognerebbe sgomberare il Papa dal Vaticano.