Ahmadinejad alla prova della democrazia (nonostante Bollinger)
25 Settembre 2007
La volpe e il leone si sono incontrati a New York ieri. E ci hanno lasciato perplessi. Il presidente della Columbia University Leo Bollinger e il presidente della Repubblica Islamica dell’Iran Ahmadinejad hanno dialogato nell’auditorium dell’università, sfidando le proteste di studenti, alunni e politici. Lo hanno fatto nel nome della libertà di espressione, alla quale entrambi, il primo in inglese, il secondo in farsi, hanno prestato omaggio. Peccato che entrambi abbiano giocato un ruolo prefissato, e il confronto delle idee, che è il vero obiettivo della libertà di espressione, ne abbia sofferto.
Per il migliaio di persone raccolte sul prato del campus di fronte ad uno schermo gigante – l’unico modo di seguire un dibattito chiuso in un’università assediata dove era possible entrare solo a studenti e professori -, la scena è stata decisa in pochi minuti. Leo Bollinger, che ha già tanti guai per via di una comunità accademica polarizzata tra la crème de crème dell’intellettualità ebraica e araba, avrebbe dovuto introdurre Ahmadinejad. Invece, si è prodotto in una tirata contro il presidente iraniano con un j’accuse interminabile (e ce n’è da dire) di violazioni di diritti umani, collusione con il terrorismo e negazione dell’olocausto. Lo ha anche definito un tiranno ridicolo, auspicando alla fine di vederlo perdere alle prossime elezioni così come ha perso nel dicembre scorso dopo un dibatto al Council on Foreign Relations.
Cosa aspettarsi dopo una presentatione di questo tipo? Un pubblico decisamente ostile ad Ahmadinejad lo ha applaudito calorosamente dopo le prime parole: “In Iran, quando invitiamo qualcuno a parlare, lo rispettiamo, e rispettiamo i nostri studenti che sanno cosa pensare, non cerchiamo di vaccinarli, l’introduzione del signore che mi ha preceduto è un insulto al pubblico che può decidere da solo cosa pensare di me”.
Nessuno è d’accordo con Ahmadinejad su niente, in questo campus assolato di Columbia. Ma l’inizio del dibattito non promette bene. In una strana inversione di ruoli, possibile solo in un dibattito che è libero, ma rigidamente strutturato, Bollinger è il nemico della libertà di espressione, e Ahmadinejad il campione. C’è abbastanza tempo e spazio perchè Ahmadinejad mostri il suo vero volto. In circa mezz’ora, dirà che l’omosessualità non esiste per nulla in Iran – provocando la sola grande risata collettiva del pubblico -, che le donne sono rispettate, infatti i figli baciano le mani delle mamme, che l’olocausto deve essere studiato ancora e di più perchè non abbiamo ancora tutti i fatti, e che sarebbe andato volentieri a prestare omaggio alle vittime dell’attacco dell11 settembre, ma soprattutto a spiegare chi veramente è dietro quell’attacco (leggi il Mossad). Alla domanda, è vero che volete cancellare Israele dalla faccia della terra risponde con un non sequitur: il problema è un altro, è la tragedia Palestinese.
Il danno, però è fatto, per chi vuole vedere. Leo Bollinger ha accusato l’Iran di usare liberamente la pena capitale. E il Texas? Ha replicato Ahmadineiand. Voi usate l’iniezione, noi l’impiccagione. Dov’è la differenza? Bollinger ha accusato l’Iran di finanziare i terroristi. E voi? Ahmadinejad ricorda il sostegno Americano all’Iraq durante la guerra contro l’Iran. Parlate tanto di libertà di ricerca, perchè non ci lasciate fare la nostra ricerca sul nucleare per scopi pacifici? Ahmadinejad conclude che per un paese che sta facendo i test sulla quinta generazione di nucleare, avete una bella faccia tosta a criticarci (mia interpretazione).
Nessuno risponde alle provocazioni di Ahmadinejad. Per forza. Bollinger si ècomportato secondo lo stereotipo dell’Americano: il democratico supponente e sentenzioso, pronto a criticare senza quartiere gli altri, e incapace di vedere analoghi problemi all’interno. La volpe Ahmadinejad, i cui argomenti in un vero dibattito conterebbero come il due di coppe, sembra quasi intelligente.
Ma non è un gran problema. Il vero dibattito si svolge nel campus, tra gli studenti, che dal mattino presto fino alle 14 attaccano posters, fanno volantinaggio, e discutono tra loro attaccandosi a vicenda, gli iraniani e gli ebrei, i liberali e i conservatori. C’è la ragazza che indossa il velo, occupatissima ad attaccare al muto volantini che spiegano come in Iran gli ebrei vivono in pace e hanno perfino una rappresentanza al parlamento. Un gruppo di studenti ebrei ortodossi l’accusano di dire bugie e lei si difende con coraggio: “Gli ebrei sono contenti in Iran e hanno un sacco di soldi!”. Chissà perchè nessuno le rimprovera l’affermazione palesemente anti-semita. Sono tutti troppo occupati ad accusare l’Iran di giustiziare troppi omosessuali, e troppi minori.
Bush è peggio di Ahmadinejad, sostiene un gruppo focoso di studenti. Anche Bush tortura, uccide e infatti è l’unico che comincia le guerre. Protestate contro di lui, non contro Ahmadinejad. Un altro gruppo comincia a discutere. Siete fuori tema, dicono, la questione oggi è Ahmadinejad, che c’entra Bush? Non siamo d’accordo con Bush, ma non c’è equivalenza tra i due. Ma noi vogliamo non essere ipocriti, dicono gli altri, non si può accusare l’Iran per violazione dei diritti umani e sorvolare su quello che facciamo noi.
Lo spettacolo è incredibilmente rassicurante. Le ragazze con il velo rispondono con vigore alle accuse dei filo americani, sono libere di parlare, di litigare, di controbattere. Gli americani critici di Bush liberamente accusano l’amministrazione per il suo ruolo in Iraq e all’interno del paese. I filo israeliani attaccano l’Iran per il suo record nel campo dei diritti umani. Quelli di sinistra attaccano i filo isrealiani per aver manipolato la questione degli omosessuali in Iran. Il campus è una fiera di dibattito politico, non c’è protesta, solo discussione, decine di discussioni attorno a volantini e posters, a volte confuse, ma libere. Ahmadinedjad e Bollinger sono un pretesto, un cattivo esempio per come si dovrebbe discutere, mantenendo un atteggiamento critico, dialogando, non pronunciando manifesti politici. Se il polso della democrazia fosse il campus di Columbia ieri, sarebbe in ottima forma.