“Ai miei fratelli minori dico: per scrivere buoni libri fatevi delle storie”

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“Ai miei fratelli minori dico: per scrivere buoni libri fatevi delle storie”

31 Luglio 2010

Alla fine degli anni Settanta, Enrico Palandri fu una di quelle penne ribelli che fecero risorgere il gusto del romanzo in Italia, il piacere di raccontare e farsi delle storie, come diceva Gianni Celati. Con lui abbiamo parlato del rapporto a volte conflittuale fra scrittori ed editor, una figura decisiva, quest’ultima, nel decidere le sorti di un manoscritto nel panorama editoriale. Poi con molta naturalezza la discussione si è allargata a coinvolgere altri maestri ("l’editor" Tondelli), la storia recente del nostro Paese, il mondo giovanile, le linee di fuga inespresse o non ancora del tutto percepite della letteratura italiana contemporanea. Con una certezza: per scrivere buoni romanzi non bastano le esigenze del mercato, serve più umanità.

Palandri, nei suoi romanzi Lei ha sempre dato grande importanza all’esperienza, a un punto di vista personale. Ci spiega meglio che vuol dire in termini letterari? 

In realtà è stato un fenomeno che ha interessato il romanzo italiano del dopoguerra, anche prima del mio Boccalone. Dall’invenzione si passa a una forma romanzesca che poggia su un forte elemento biografico su cui si costruisce la narrazione. Il modello è Se questo è un uomo di Primo Levi. 

Che differenza c’è con l’autobiografia?

Un riferimento costante alla contemporaneità che viene vissuta in prima persona, come in Altri Libertini di Pier Vittorio Tondelli. Costruiamo personaggi immaginando le persone che conosciamo e ci sono care, i nostri amori, gli amici, i colleghi di lavoro. Ma ripeto, questo sviluppo del romanzo non è nuovo… Mi chiedo se i nostri posteri comprenderanno fino in fondo queste sensibilità. E’ un problema di ricezione, oggi se leggiamo Flaubert badiamo solo al racconto più che alle vite che c’erano dietro.

In Italia ci sono autori che stanno seguendo questa strada?

Non saprei, Tiziano Scarpa è bravo, qualcosa è riuscito a farla.

Scrivendo di se stessi e del proprio tempo, qual è il rapporto che si stabilisce fra lo scrittore e gli editor delle case editrici?

Ci vorrebbe un altro Tondelli, qualcuno capace di fare un lavoro di "contropelo" sugli inediti e i profili degli autori di domani. Ricordo la filosofia che c’era dietro il progetto Scarti, realizzato con la piccola ma gloriosa Transeuropa. Non so se attualmente in Italia ci siano editor forti e coraggiosi come il Tondelli di allora, capace di scegliere cosa pubblicare quasi unicamente sulla base del suo giudizio.

Qualcuno ci sarà

Mi viene in mente il lavoro svolto da Elisabetta Sgarbi sulla letteratura italiana contemporanea. Attraverso un esperimento come "Panta" sono stati consacrati autori come Tondelli, Andrea de Carlo, Sandro Veronesi. Ed è notevole che la Sgarbi, che lavora in un grande gruppo editoriale, e quindi riceverà senz’altro pressioni molto forti, sia riuscita comunque a imporre il suo punto di vista. 

L’industria del romanzo sembra suddividersi in generi e mode letterarie un po’ asfissianti: il "new journalism" alla Saviano, i generazionisti, la "letteratura da gallinelle", un preponderante ritorno alla fiction… Dov’è finito Boccalone?

Non sarei così disfattista, ci sono forme del romanzo che non riusciamo mai a leggere completamente mentre si stanno compiendo. Anche Se questo è un uomo non fu accolto positivamente da Natalia Ginzburg in Einaudi – e sto parlando di una donna dotata di grande sensibilità e conoscenza della letteratura italiana.

Qual è stato il suo rapporto con gli editor?

Con Marco Leva, ai tempi della pubblicazione di Boccalone, fu un rapporto piuttosto duro. Non accettavo nulla dei rilievi che mi venivano fatti, se avevo scritto una parola in minuscolo e invece andava in maiuscolo e loro mi chiedevano di correggerla, be’, rispondevo che doveva restare minuscola… In fondo sono rimasto fedele all’aspirazione di Boccalone: ripartire ogni volta da zero.

Sarebbe a dire?

Ogni libro deve passare da quell’elemento di umanità che non è per forza nelle attese del mercato.

Giacché ci siamo, quali sono i suoi "scrupoli" di scrittore?

Scrivo anche quando non scrivo. Aspetto il libro anche per anni, nella mia testa. Forse è questo il messaggio che dovremmo dare agli autori delle giovani generazioni: avere uno sguardo fisso sull’umano, capire chi siamo nella Storia, nel mondo, nella natura.

Le scuole di scrittura servono a qualcosa?

Viviamo in tempi molto diversi da quando uscirono romanzi come Boccalone o Altri Libertini. Allora il mercato era completamente chiuso, anche per ragioni politiche. Eravamo in un’epoca in cui i giovani erano sotto attacco. La nostra è stata una generazione cresciuta nella diffidenza verso le contrapposizioni innescate dalla Guerra Fredda, volevamo sfuggire alla "politica dei due forni"

Invece delle scuole di scrittura mi sta parlando del movimento del ’77

Perché era quella la parte più interessante – culturalmente – dell’epoca. C’è stata una grave incapacità nel metabolizzare le energie che si erano sprigionate in quel momento storico, e tutto si è concluso in un riallineamento alla generazione della Resistenza oppure nel provincialismo, nel fare il verso a mode straniere, per cui in Italia non possiamo "esportare" un bel nulla di ciò che viene pubblicato.

"Camere separate" di Tondelli è stato pubblicato negli Stati Uniti

Sì, e per la verità sono stato io a tradurlo, con la casa editrice Serpent’s Tale.

C’è anche un problema di crisi del mercato editoriale

I libri costano. Gli editori, almeno i grandi, puntano soprattutto su due o tre grandi bestseller all’anno e vivono di pubblicità.

"Gomorra" è un besteller di qualità?

L’ho letto per un po’ ma poi ho lasciato perdere. E’ così vicino alla cronaca da apparire letterariamente debole. E poi se uno è indagato e corrotto sono problemi della magistratura, non della letteratura. Siamo tutti contro la mafia, ci mancherebbe, ma gli scrittori dovrebbero avere un altro compito: raccontare il proprio tempo attraverso delle metafore. Gomorra non ci aiuta a crescere o a capire. 

Che dovrebbero fare i grandi editori?

E’ comprensibile che Mondadori cerchi di vendere il più possibile, l’editoria di oggi è fatta così. Però quando con la Sgarbi abbiamo fatto progetti come Panta c’era almeno il tentativo di discutere sul "valore letterario" di quello che finisce nelle librerie. Tondelli più di tutti ha combattuto questa battaglia per gli altri, per gli scrittori a venire.

Da Boccalone al suo ultimo libro, "I fratelli minori" 

Dopo Boccalone ho lasciato l’Italia e sono andato a vivere in Gran Bretagna. Volevo chiudere il periodo dello sradicamento, ed in qualche modo ha significato liquidare anche i miti risorgimentali e i valori forti che c’erano nel dopoguerra. Oggi il mondo è cambiato e va osservato da un altro punto di vista, sociale, politico, economico, culturale. In questa trasformazione ho ambientato i miei ultimi sei romanzi, I fratelli minori raccoglie le fila di questa esperienza e credo che sia il più riuscito.

Cosa direbbe ai suoi fratelli minori?

Pensate che la Storia si fa sempre. Conviene sottrarsi alle visioni minoritarie, e avere fiducia di come fare la realtà.