Ai musulmani italiani piace la sinistra ma senza orecchino
09 Maggio 2011
di redazione
Sta provocando sconcerto l’invito rivolto ai musulmani che vivono a Milano dall’imam di Segrate, Ali Abu Shwaima, di non votare SeL alle prossime elezioni amministrative perché Nichi Vendola è gay, e dunque, “in quanto omosessuale, ha una condotta che non va d’accordo con l’etica islamica”. La moschea di Segrate è la seconda per importanza in Italia dopo quella di Roma e ci sono all’incirca centomila elettori di fede islamica nel milanese.
L’imam, sia chiaro, non ha detto di non votare a sinistra, anzi, “ho spiegato che ritengo sia giusto votare a sinistra perché è lì che troviamo posizioni più vicine ai nostri ideali”, ma i candidati di SeL no, perché “Vendola vive in una società che non è musulmana, quindi può fare quello che vuole, ma io mi trovo in difficoltà a votare una persona così”.
Grazie al cielo non tutti gli immigrati musulmani lombardi la pensano come l’imam di Segrate: “Ritengo che sia sbagliata” ha detto Abu Bakr Geddouda, il segretario della moschea milanese di Cascina Gabba, spiegando che secondo lui bisogna andare a votare sui “programmi” e non sulla “vita privata” dei leader politici. Ma tutto sommato l’exploit dell’imam omofobico dovrebbe preoccupare quanti, a sinistra, credono davvero che in Europa il multiculturalismo sia la panacea di tutti i mali.
Sul sito di SeL, Roberto Musacchio attacca le destre europee e naturalmente quella berlusconiana difendendo il multiculturalismo da chi vuole distruggerlo "ipocritamente" perché ha in mente di "imporre una superiorità culturale che non esiste". Forse Musacchio non se capaciterà ma l’imam di Segrate si sente già superiore ai gay, visto che li ritiene tanto inferiori da non votarli alle elezioni.
Un’ultima cosa. Visto che l’imam di Segrate si trova tanto “in difficoltà” in democrazia, un regime scellerato che consente a Vendola di candidarsi, non vogliamo neppure provare a immaginare cosa sarebbe accaduto al leader della sinistra libertaria ed ecologista se invece che da Milano la “fatwa” fosse arrivata dal Cairo, da Teheran o da Kabul.