Al CLN di Fini, D’Alema e del popolo viola importa solo far fuori il Cav.

LOCCIDENTALE_800x1600
LOCCIDENTALE_800x1600
Dona oggi

Fai una donazione!

Gli articoli dell’Occidentale sono liberi perché vogliamo che li leggano tante persone. Ma scriverli, verificarli e pubblicarli ha un costo. Se hai a cuore un’informazione approfondita e accurata puoi darci una mano facendo una libera donazione da sostenitore online. Più saranno le donazioni verso l’Occidentale, più reportage e commenti potremo pubblicare.

Al CLN di Fini, D’Alema e del popolo viola importa solo far fuori il Cav.

07 Febbraio 2011

Hanno suonato i pifferi della rivoluzione e, poiché si avvicina il Carnevale, numerosi idioti si sono travestiti da rivoluzionari. La stella cometa li ha portati ad Arcore, nei pressi dell’abitazione privata del presidente del Consiglio. Altri, più modestamente, hanno scelto mete alla loro portata, sempre naturalmente inveendo contro il Caimano, l’affossatore delle libertà civili e democratiche. A chi abbia fatto del male il Cavaliere, del quale tutto si può dire tranne che abbia coartato i diritti di qualcuno o abbia messo le mani nelle tasche dei cittadini, resta un mistero. A meno che non si interpellino, per avere qualche risposta certamente poco convincente, Eco e Saviano, Zagrebelsky e Lerner, Carlo De Benedetti e perfino il senatore a vita Oscar Luigi Scalfaro che vive un’inquieta vecchiaia rasserenata di tanto in tanto da un invito della gauche caviar che gli permette di esprimere i suoi antichi furor antiberlusconiani. Al Palasharp di Milano, codesti signori, hanno pronunciato invettive di rara violenza e di inusitata volgarità all’indirizzo di un uomo che, bene o male, piaccia o non piaccia, incarna un’istituzione e pertanto dovrebbe essere trattato come si conviene ad un premier al quale, naturalmente, si possono rivolgere tutte le critiche politiche, ma non additarlo come la sentina di tutti mali.

Ciò vale anche per molti giornali che da tempo si esercitano nella costruzione di un Mostro politico da abbattere a tutti i costi. Non funziona così in democrazia, a meno di non voler creare un clima di intolleranza i cui effetti potrebbero essere devastanti e non soltanto ai danni di Berlusconi e della coalizione che capeggia. Il disegno, comunque, è più sottile perfido. S’intende, attraverso un processo di costante ed ossessiva delegittimazione, creare un clima che rovesci il Cavaliere e sovverta il responso democratico uscito dalle urne. I ragazzotti che hanno tentato l’assalto alla villa di Arcore non ci sono arrivati, poveretti, ed hanno agito per come hanno potuto. Non hanno compreso che la via è un’altra e che nessuna "operazione Mubarak" è possibile in Italia.

Dovrebbero spiegarglielo, forse con parole più semplici D’Alema e Fini che, quando vogliono, sanno essere diretti e taglienti. Ma si sa, il politicantismo annoia, mentre le suggestioni rivoluzionarie fanno sognare. E mentre una minoranza rumorosa sogna e, purtroppo, quando si sveglia dà anche il peggio di se stessa, i due compari del neo-inciucismo da tempo stanno lavorando affinché si creino le condizioni che agevolino l’abbandono di Berlusconi. E cercano di farlo con una finezza tale da farsi apprezzare da tutti i parrucconi restii a qualsivoglia forma di cambiamento. Infatti, D’Alema e Fini non ci hanno risparmiato negli ultimi mesi retorici e stucchevoli richiami al cosiddetto "patriottismo costituzionale", metafora togliattiana coniata ad uso di quelle forze politiche che, aderendovi, guadagnavano l’accesso all’esclusivo club dei "fondatori" e "difensori" del nuovo ordine repubblicano. La bizzarra e discutibile nozione è tornata agli onori delle citazioni giornalistiche grazie all’uso improprio e dissennato che ne hanno fatto soprattutto i finiani, eredi degli esclusi dall’universo costituzionale che il Pci intendeva preservare. Si potrebbe derubricare il tutto alla voce "contorsionismi della politica" se non fosse che la metafora richiamata appare come il collante del nuovo Comitato di liberazione nazionale da Berlusconi. Tutti insieme, come ha fatto capire nei giorni scorsi D’Alema, per sloggiare da Palazzo Chigi il Cavaliere nero e, chissà, forse esiliarlo in qualche sua lontana dimora.

Insomma, la parola d’ordine che circola, dall’estrema sinistra alla destra riformata e protestante di Fini, è una sola: disfarsi di Berlusconi anche a costo di imboccare strade ignote, non prive di rischi. Perciò la proposta del premier alle opposizioni di cercare di salvare il salvabile, giusto l’auspicio del presidente della Repubblica, è stato respinto sdegnosamente al mittente, senza neppure valutarlo con l’attenzione dovuta. Ai nemici del centrodestra non importa nulla del "patriottismo costituzionale", tirato fuori come alibi ideologico per nobilitare un’indecente aggressione, ma molto, invece, del "patriottismo partitocratico" , cioè a dire della preservazione del potere delle fazioni e delle oligarchie minato dal voto popolare che, ancora oggi e nonostante l’osceno girotondo mediatico-giudiziario, vede, secondo i sondaggi, il Cavaliere e la sua maggioranza in buona salute, dunque in grado di vincere le elezioni.

Certo, se il Comitato di liberazione nazionale mettesse in campo un caravanserraglio come ipotizzato da D’Alema, il più vecchio dei partitocrati in circolazione, erede della peggiore tradizione della prima Repubblica, la partita per Berlusconi si farebbe obiettivamente difficile anche se non è detto che la perderebbe. È più probabile immaginare un pareggio – conquista della Camera, ma non del Senato – che, comunque, non garantirebbe la governabilità, ma offrirebbe alle opposizioni la possibilità di chiedere al capo dello Stato d’incaricare un’altra personalità, pur proveniente dal mondo berlusconismo, di formare un governo di "salute pubblica", con dentro tutti tranne quel che rimarrebbe del Pdl o dei berlusconiani.

Governo, naturalmente, dalla vita breve sostanzialmente con un solo punto programmatico: la riforma elettorale in senso proporzionale che significherebbe la fine del bipolarismo ed il ritorno al passato. Poi, nuove elezioni con un centrodestra oggettivamente indebolito dall’inevitabile frazionismo e privo di un federatore carismatico in grado di tentare, per l’ennesima volta, la modernizzazione del Paese. Saremmo in piena sindrome di Weimar.

Non è detto, ovviamente, che questo scenario attragga tutta la sinistra e coinvolga interamente il mondo moderato: l’una e l’altro sono consapevoli dei rischi della spericolata operazione. Ma D’Alema ritiene che comunque l’azzardo, con la complicità a diverso titolo di Casini e di Fini, vada tentato se non si vuole correre il rischio di condannare le opposizioni alla subalternità per tanto tempo ancora. Pertanto, sia pur dolorosamente, la sola strada che i "nuovisti" dovrebbero intraprendere è quella dell’ammucchiata necessaria. Non saprei se questa oscena formula politica è una variante del "patriottismo costituzionale" oppure una riedizione del trasformismo nel quale i protagonisti hanno dimostrato una indiscussa abilità nel praticarlo.

Vincere le elezioni, com’è facile intendere, non significa governare. E coloro i quali stanno ordendo la congiura partitocratica descritta, lo sanno benissimo. Tuttavia, animati dall’odio non guardano al dopo, al vuoto che inevitabilmente si aprirebbe nella politica e nel Paese: ritengono che qualche anno ancora di disordine antidemocratico sia indispensabile per la costruzione del nuovo regime. A spese del popolo, naturalmente. Ma questo è un insignificante dettaglio del quale gli snob del Palasharp non ritengono di occuparsi, come tutti i rivoluzionari in cachemire ed i ragazzotti del "popolo viola" ancora meno, lontani come sono dalla realtà.