Al Congresso di domani An arriverà pronta per fare il grande salto
20 Marzo 2009
Immaginate se tutto fosse filato via liscio e senza attriti, se cioè Forza Italia e Alleanza nazionale fossero convolate a nozze senza alcuno strascico polemico, senza litigi e mugugni. Si sarebbe detto, giustamente, che la cosa non andava bene, che si era dinnanzi non alla nascita di un nuovo partito, grande e ambizioso, ma ad una semplice recita all’aperto, con tutte le parti in commedia già scritte e assegnate. Invece non è andata così: con il passare delle settimane e con l’avvicinarsi del congresso di fondazione, dopo che per mesi del nascente Pdl a nessuno era importato nulla – né ai diretti interessati, né agli osservatori più o meno esterni – sono venuti a galla malumori e qualche ripensamento, timori e distinguo, che in alcuni momenti hanno anche fatto pensare che la cerimonia già programmata potesse essere rinviata o sospesa. Ma nemmeno quest’atteggiamento è parso andare bene: che partito è quello che nasce, invece che tra sorrisi e pacche sulle spalle, tra mugugni e sguardi obliqui? Quanto può durare un partito dove tutti diffidano di tutti?
Quando è mezzo vuoto, il bicchiere è fatalmente mezzo pieno. Prendiamo atto che non si può soddisfare tutti e andiamo avanti. Non senza aver prima chiarito che se proprio si deve scegliere quale dei due atteggiamenti sia da preferire, direi che la discussione alla luce del sole, franca e sincera, dura ma leale, è infinitamente migliore del silenzio o dell’indifferenza. La politica, per quanto degradata come oggi, è un travaglio continuo, che mette in gioco interessi e passioni. Come si può dunque pretendere che un simile appuntamento scivolasse via senza lasciare qualche acciacco o malessere sul corpo vivo di coloro che, al vertice e alla base, ne saranno i protagonisti?
Nasce un partito, ne muoiono due. La festa, che comunque ci sarà, verrà dopo due funerali simbolici. Forza Italia, mesi or sono, ha già officiato il suo: senza troppi traumi essendo un partito costituzionalmente abituato ai cambi repentini. Adesso tocca ad Alleanza nazionale, per la quale tutto risulta più difficile. Non fosse altro perché ha già dovuto sperimentare, nemmeno quindici anni fa, un addio e una rinascita, con tutto il corredo di emozioni, languori, dispiacere e dolori che comporta chiudere una pagina di storia per aprirne un’altra che non sai mai quali e quante sorprese possa riservarti.
A Fiuggi, nel 1995, la destra voltò pagina – cambiando ragione sociale e orizzonte politico – nella consapevolezza che quell’atto, per quanto traumatico, fosse necessario. Dopo cinquant’anni di nobile testimonianza ideale era giunto il momento di gettarsi nella mischia e tentare l’avventura. Con quali risultati si è visto: da marginale che era, la destra si è trovata proiettata sulla scena pubblica con un ruolo da protagonista. Non tutto è filato secondo i piani, da allora ad oggi, ma l’obiettivo strategico principale è stato comunque raggiunto: anche l’Italia s’è infine dotata di una destra costituzionale e moderna, immune dal morbo della nostalgia e libera dai complessi che per decenni ne avevano accentuato la marginalità.
Ma oggi? Non c’è il rischio, dopo questo lungo e tutto sommato positivo cammino, di gettare ogni cosa alle ortiche, di consegnarsi mani e piedi ad un alleato tanto più forte? La destra muore o scompare, ha scritto qualcuno. Finalmente appagata e senza più ambizioni o traguardi, avrebbe semplicemente deciso di chiudere per sempre con se stessa e la propria storia, antica e recente, per accomodarsi in un contenitore nel quale, vivo Berlusconi, avrà sempre qualcosa da lucrare e qualche piccola quota di potere da gestire. A Fiuggi si è pianto, alla Fiera di Roma tra pochissimo tempo ci si limiterà, secondo le previsioni di molti, a qualche mesto sorriso, nella consapevolezza che più di tanto non si può pretendere dalla sorte. Fini è presidente della Camera, Alemanno sindaco di Roma: non è forse giunto il momento di tirare i remi in barca e godersi conquiste e traguardi che generazioni di missini non hanno nemmeno osato sognare?
In realtà, per quello che valgono le previsioni fatte a tavolino, le cose è facile che vadano in modo diverso. Scompare è vero un partito, ma ciò che conta, al dunque, sono gli uomini e le idee. Liberi dalla vecchia casacca, gli eredi di An avranno più di un’occasione per mettersi alla prova, per farsi valere e, soprattutto, per far valere la loro idea di politica e società. Insomma, niente e nessuno li obbliga al disarmo volontario. Il Pdl, da questo punto di vista, per chi ne abbia voglia è chiaro, più che un rifugio sicuro, più che un anticipo di pensione, potrebbe risultare un’ennesima ed esaltante sfida. Un modo per mettersi nuovamente in discussione con l’idea di spingersi ancora più avanti, di puntare a nuovi traguardi. Molti si aspettano che il grosso della vecchia An, con la regia più o meno occulta di Fini, serri le proprie fila con l’idea di costituirsi come una sorta di minoranza interna al nuovo partito e con l’obiettivo di far contare, per quanto possibile, quel 30% di voti e poltrone che le è stato riconosciuto dinnanzi al notaio in vista della fusione. Ma sarebbe una scelta politicamente miope, se è vero che nel Pdl a venire, fatta salva la leadership di Silvio Berlusconi, tutto resta in realtà da costruire, tutto – della passata eredità dei due partiti – merita di essere messo in discussione. Il che significa che tutto può accadere nel futuro più o meno immediato: nuovi equilibri, composizioni e ricomposizioni, incroci trasversali, contaminazione tra famiglie e storie personali che sin qui hanno solo rispettosamente convissuto. Un caos creativo, mi è capitato di definirlo, dal quale potrebbe germogliare qualcosa di inedito o inaspettato: non semplicemente la filiale italiana del Ppe o il partito di massa dei moderati che molti – chissà perché? – considerano come gli unici possibili e appaganti traguardi di questa nuova avventura.
Ad oggi, in vista dell’addio ad An e del benvenuto al Pdl, si è parlato soprattutto di regole e poltrone, di incarichi e quote associative, ma ciò fa parte delle noiose incombenze che per necessità debbono essere assolte quando si contrae un accordo. Il bello – politicamente parlando – deve ancora venire. C’è da dare forma e sostanza, possibilmente per gli anni e decenni a venire, al più grande partito di massa della storia repubblicana; c’è da completare l’infinita transizione verso la Seconda Repubblica; c’è da elaborare una cultura politica all’altezza delle sfide nuove che la storia sta ponendo alla politica; c’è da sperimentare, sotto la pressione dei cambiamenti tecnologici, modalità nuove d’azione e mobilitazione politica; c’è l’Italia da modernizzare; c’è da capire – dovere primario per una forza politica che voglia incidere sul corso delle cose – verso quali direzioni sta muovendo il mondo. E dunque occorrono idee, uomini, energie e volontà. Alleanza nazionale sarà per molti un ricordo, un’avventura di quindici anni che lascia dietro di sé un bilancio in parte contraddittorio ma largamente positivo. Con il Pdl comincia una storia nuova, che la destra – quel poco o molto che ne resterà – non deve affatto temere, ma che deve contribuire a indirizzare e costruire.
*Alessandro Campi è il direttore scientifico della Fondazione FareFuturo