Al di là del Sì e del No, ora l’Italia deve ripartire
06 Dicembre 2016
La prima notizia positiva è che l’Italia-the-day-after pare ancora in piedi. Nessun tracollo economico né finanziario: “non c’è lo shock sui mercati” titola Huffington Post. Lo spread galleggia sui 170 come prima. Le Borse reggono (oggi l’indice Ftse Mib segna un +4,15%, ndr). Unici riflessi in Europa sono le dichiarazioni del ministro europeo Shaeuble che ha definito “amaro” l’esito del referendum. Ce ne faremo una ragione. Unica conseguenza per il momento paiono essere le dimissioni di Renzi, peraltro “congelate”, pure queste, da Mattarella, impegnato a individuare un nuovo governo “in continuità” (Padoan?). Insomma, lo scenario apocalittico ipotizzato dai sostenitori del Sì non si è presentato e il palcoscenico non ha cambiato drammaticamente sfondo. Il Paese ha solo evitato una riforma “brutta”, non esteticamente ma nei contenuti.
Il vento del cambiamento non è un bene di per sé. Occorre guardare verso cosa si cambia. Credo si sia scongiurato il tentativo arrogante di imporre una riforma pasticciata e centralizzatrice. Va comunque sottolineato il discorso post-referendum di Renzi, che prende atto del voto popolare e si dimette; molti suoi sostenitori, cronisti e commentatori, se la prendono invece con il popolo incapace di comprendere la grandezza di un cambiamento che avrebbe risolto tutti i problemi del Paese. La seconda buona notizia è che il popolo ha risposto. Non mi aspettavo un partecipazione di quasi il 70% e non una così ampia affermazione del NO, 60% (Renzi ha ammesso essere “straordinaria”). Il popolo ha deciso di essere protagonista, proprio come richiesto dalla carta costituzionale che – nei confronti di riforme assunte a colpi di maggioranza – prevede il ricorso a ciò che pensano i cittadini.
E i cittadini hanno parlato. Non credo che tutti abbiano risposto nel merito della riforma o lo abbiano fatto per gli stessi motivi. Credo però che tutti abbiano avvertito l’importanza della posta in gioco e – per un motivo o per l’altro – abbiano valutato eccessiva l’impronta eccessivamente marcata, allergica a qualunque occasione di riflessione (vista sempre e comunque come un ostacolo di cui liberarsi), posta in campo da Renzi & C. D’altra parte, i cattolici – o una parte di loro – hanno avvertito chiaramente che anche una piazza piena di più di un milione di persone (Family Day) può essere accantonata come un problema fastidioso da scacciare. E la riforma avrebbe aperto autostrade per l’approvazione di leggi contro la persona e la famiglia (omofobia, liberalizzazione cannabis, divorzio lampo, eutanasia, utero in affitto …).
Certo, il popolo del NO non ha le stesse motivazioni. Ma la medesima preoccupazione. Infine, una terza notizia positiva è il fatto che, al di là di tutto, si ricominci a parlare di politica, non solo con lamentazioni o indignazione, ma anche con interesse e come nuova opportunità. Ed è questo il punto che mi pare più interessante. Occorre ripartire, al di là del SI e del NO (prendo a prestito una bella osservazione di un amico). Occorre rifondare i motivi di una partecipazione, a partire dalla legge elettorale. Occorre rivedere la legge elettorale e questo sarà (spero) possibile solo perché il popolo ha votato NO. Diversamente i giochi partitico-politici sarebbero divenuti definitivi (salvo possibile intervento parziale della corte costituzionale sull’Italicum).
Spero in regole elettorali non di parte. Renzi nel discorso in cui ha prospettato le sue dimissioni ha detto che spetta all’ “accozzaglia” del NO fare proposte. Se questo significa disponibilità del partito di maggioranza di valutare ipotesi condivise, ben venga. Per quanto mi riguarda servono tre criteri: introdurre premio di coalizione; ridurre il premio di maggioranza; eliminare capilista scelti dai partiti e introdurre preferenze. Poi ripartire e ricostruire la speranza di un popolo.