Al G20 Obama incontra gli europei. Monti: “Prossimi 10 giorni decisivi”
19 Giugno 2012
Lo dice da tempo Ian Bremmer, politologo internazionale e autore del libro da poco uscito negli Usa “Every nation for itself: winner and losers in a G-Zero world”: il G-20 è nato con le intenzioni giuste ma è già diventato una delle tante kermesse diplomatica più che un luogo d’effettiva cooperazione internazionale. E quello in corso a Los Cabos, in Messico, purtroppo non fa eccezione. Basta solo andarsi a guardare il sito del G-20 curato dalla presidenza messicana, per rendersi conto che nel caso di specie è diventato uno strumento di propaganda del presidente Felipe Calderon, tutto sorrisi assieme ai leader della terra.
Questo per ricordare che su questo incontro tra i grandi della terra, i paesi che insieme contano per l’87% del Pil mondiale, si erano concentrate significative aspettative politiche. Doveva essere il summit della concordia ritrovata tra le due sponde dell’Atlantico, con la cancelliera tedesca Angela Merkel che doveva fugare le accuse di complotto anti-obamiano avanzate dal ‘pessimista di professione’, Nouriel Roubini (così l’ha deliziosamente definito il Die Zeit) assieme a Niall Ferguson sul Financial Times, e invece si è trasformato in un tedioso botta e risposta sulle responsabilità prime dell’attuale crisi economica.
Il burocrate non eletto, Josè Manuel Barroso, attuale presidente della Commissione europea,alal vigilia dell’incontro non aveva trovato meglio da fare che recitare il solito disco rotto – prendendo spunto magari da quel che negli scorsi giorni ha affermato il nuovo titolare del Quai d’Orsay, Laurent Fabius? – affermando che la crisi non fosse originata in Europa, bensì “in Nord America”. Un blame game, un gioco a chi se la rinfaccia più grossa, che ha finito probabilmente col minare gli animi diplomatici, tanto che l’incontro tra i leader europei e il presidente statunitense Barack Obama previsto per Lunedì è slitatto ieri in giornata.
Il presidente Obama, dopo aver incontrato i capi di stato e di governo europei, assieme ai burocrati dell’Ue, ha invitato l’Europa a "fare presto" (deve essere finito nello Studio Ovale una copia de Il Sole 24 Ore evidentemente) e a intraprendere "azioni coraggiose e decisive". Anche il premier italiano Mario Monti è andato in conferenza stampa, un’occasione che è servita al presidente del consiglio per fugare tutte le indiscrezioni che volevano che dall’incontro stesse emergendo la possibilità di un piano di salvataggio per l’Italia.
"Per l’Italia il tema del bailout non si pone proprio", avrebbe dichiarato l’inquilino di Palazzo Chigi, incalzato dai giornalisti interessati a ricevere una conferma ufficiale sulle indiscrezioni trapelate durante il G20 secondo le quali sarebbe oggetto di discussione la possibilità di un utilizzo delle risorse di cui è dotato lo EFSF, il fondo di stabilizzazione europeo e quantificate attorno ai 440 mld di euro, per l’acquisto di titoli di debito dei paesi maggiormenti intaccati dall’attuale crisi fiscale, tra cui Spagna e Italia.
Il dato, comunque, è che molti dei nodi che interessano l’Europa saranno affrontati nei prossimi dieci giorni, quelli che lo stesso Monti ha definito "giorni decisivi per salvare l’euro", con l’incontro di Roma del prossimo 22 Giugno – a cui prenderanno parte oltre al ‘padrone di casa’ Mario Monti, anche la cancelliera tedesca Angela Merkel, il presidente francese François Hollande e il primo ministro spagnolo Mariano Rajoy -, e in occasione del Consiglio europeo previsto per il 28 Giugno prossimo a Bruxelles.
Ora che dalla elezioni greche sembra essere emerso un governo ‘grancoalizionale’ fatto dai conservatori di Nuova Democrazia e i socialisti di Pasok, risultato che di per sé mette al sicuro la Grecia quanto alla sua permanenza nella zona monetaria dell’euro. Questo mentre aleggia sull’Europa una preoccupante doppia – recessione e un serpeggiante trend deflazionistico.
Dichiarazioni finali e giochi al rimpiattino sulle responsabilità della crisi a parte, al G20 in corso è stato deciso lo stanziamento di ulteriori 456 miliardi di euro da fornire al Fondo monetario internazionale diretto da Christine Lagarde, l’ex-ministra delle finanze francese del governo di Nicolas Sarkozy.
Una dotazione, quella nuovamente messa nelle mani del Fmi, che determinerà una riforma dei diritti di voto in seno all’organismo internazionale, sinora cuciti addosso alle esigenze euro-statunitensi, i quali dall’autunno prossimo dovranno tener conto dei ‘nuovi diritti’ dei paesi emergenti sul piano economico e politico, in particolare Cina, India, Brasile, Russia, Turchia e Sud Africa. I noti Brics, più Ankara. Fatto sta, che per un G20 che doveva risolvere i mali del rallentamento dell’economia mondiale, i risultati sono molto pochi. Staremo a vedere se dagli incontri di Roma e Bruxelles verrà fuori qualcosa di più sostanzioso.
L’ultimo aggiornamento di questo articolo risale alle ore 10:25 del 20 Giugno 2012