Al Jazeera le vuole “coperte” ma le conduttrici non ci stanno e lasciano
01 Giugno 2010
Le due facce di Al Jazeera: una che si fa promotrice della diffusione libera su Internet di tutti i contenuti multimediali prodotti dall’emittente (Al Jazeera Initiative for Internet Freedom), l’altra che porta subdolamente le sue giornaliste alle dimissioni perché additate come un po’ troppo scollacciate. A quale delle due tocca credere?
Giunte al limite della tolleranza per un clima di lavoro definito "insopportabile", cinque anchorwomen – Jumana Namur, Lina Zahreddin, Lona al-Shibel, Julnar Mussa and Nofar Afli – della rete che ha rivoluzionato il mondo arabo dell’audiovisivo, si sono dimesse a causa di un conflitto con la direzione che giudicava il loro abbigliamento non sufficientemente conservatore. Secondo una fonte interna alla redazione, tuttavia, "queste dimissioni non sono motivate unicamente dalle crescenti pressioni esercitate sulle conduttrici sull’abbigliamento" , alla base ci sarebbe "un conflitto ben più profondo".
"È il risultato del rancore accumulato negli ultimi cinque o sei anni e causato da una politica che non rispetta le norme professionali, dove il dipendente non viene considerato sulla base della sua esperienza e delle sue competenze, ma sulla base degli umori di alcuni responsabili", ha spiegato una delle giornaliste che ha rassegnato le dimissioni, chiedendo di rimanere anonima. "Alcuni responsabili ci rivolgono commenti che sfiorano la maleducazione e vanno oltre il quadro professionale e morale del nostro lavoro", ha aggiunto e ha poi assicurato che le conduttrici di al Jazeera "si vestono in maniera assolutamente decente" e che le richieste di modificare l’abbigliamento "urtano la nostra dignità".
L’insurrezione delle giornaliste della "all news" egemone nel campo arabo, messa in atto con le dimissioni collettive, giungono in un momento in cui la Al Jazeera sembra stia modificando la sua linea editoriale con un orientamento sempre più "islamico" nella copertura dell’attualità in Medio Oriente, in particolare rispetto ai gruppi islamici. Anche Washington ha aspramente criticato questa "deriva" editoriale, accusando la tv araba di essere diventata il palcoscenico per estremisti islamici, soprattutto in Iraq, dove dal 2004 gli è stato impedito di operare.
Nata in Qatar nel 1996, la tv araba si è fatta per molto tempo portabandiera di una informazione giornalistica di "qualità". L’operazione "Desert Fox" in Iraq nel 1998, l’Intifada "Al Aqsa" nel 2000, i video di Bin Laden dopo l’11 Settembre, "Endurance Freedom" in Afghanistan nel 2002 e la Seconda Guerra del Golfo: sono tutti eventi seguiti sul campo dai giornalisti dell’emittente satellitare. "L’opinione e l’altra opinione" era il motto che la sua redazione usava per garantire dibattiti tipici di un’informazione libera e svincolata da legami politici e governativi, tanto da riuscire a offrire spesso al pubblico arabo notizie e commenti sulla corruzione dei leader, offrendo la parola agli oppositori, fino a sfiorare veri e propri incidenti diplomatici.
Ma col passare del tempo, le censure applicate su alcune testimonianze compromettenti per Hamas, durante la guerra di Gaza, ci hanno fatto ripiombare in una realtà dove la libertà di informazione sembra ancora un’utopia. Una realtà in cui l’elemento commerciale, emotivo e populista, hanno travolto quella che un tempo era "informazione libera", cedendo progressivamente il passo alla partigianeria e alla faziosità politica. Questa "evoluzione al contrario" sembra non fermarsi più. Ci chiediamo a questo punto come avrà reagito l’occidentalissima e italianissima Barbara Serra, uno dei mezzobusti in forze alla sede londinese della emittente alla notizia dell’ "insurrezione" delle sue colleghe…