“Al Pd serve un profilo più riformista , senza cedere a Di Pietro e Vendola”
26 Febbraio 2012
Tra il ‘peso’ di sostenere la riforma del lavoro e il ‘macigno’ di dover digerire quella dell’articolo 18, c’è il destino e forse anche il futuro del Pd. Che deve dialogare con Idv e Sel ma senza cedimenti o condizionamenti. La versa sfida tra Pdl e Pd è al centro, non sulle estreme, Bossi compreso. E la competizione nel 2013 si giocherà su chi tra i due grandi partiti è in grado di proseguire l’agenda del governo Monti. Il senatore Giorgio Tonini, veltroniano di ferro e montiano convinto, riassume l’analisi in casa democrat in una frase che dice molto: “Il Pd non deve perpetuare l’antica paura della sinistra di avere nemici a sinistra, perché quella paura porta solo danni”. Tutto il resto, da qui al 2013 si chiama agenda-Monti, riforme e legge elettorale.
Senatore Tonini, tra Pd e Pdl si è aperta la gara a chi è più montiano di Monti. Perché?
Il problema non è avere un nuovo culto della personalità, al di là dell’indubbio valore personale di Monti e dell’eccellente performance che sta avendo su piano nazionale e internazionale. Il punto è politico.
E qual è il punto politico?
Dopo vent’anni di bipolarismo inconcludente perché fondato essenzialmente da coalizione unite sull’avversario anziché sul programma, abbiamo un governo che sta affrontando con coraggio e determinazione i problemi del paese. Il punto non è la persona di Monti, bensì se riusciamo a trasformare in bipolarismo politico questo spirito nuovo che sta ridando speranza al nostro paese e rilanciando la sua credibilità nel mondo.
Non negherà che nel Pd ci sono montiani e anti-montiani: basta vedere l’intervista di Veltroni a Repubblica e la replica stizzita di Fassina.
Sono un convinto sostenitore del governo e tra quelli come Veltroni, Gianni Letta, che mesi fa la ritenevano già l’unica via d’uscita. Ma sono anche convinto che linea Monti sia quella giusta. In questo senso sì, sono montiano.
Nel suo partito si contrappongono due componenti attorno all’idea che l’esperienza Monti potrebbe proseguire anche dopo il 2013. Che sta succedendo a Largo del Nazareno?
Nel Pd non sta succedendo niente di male: si sta svolgendo un dibattito politico serio. Non si confrontano fedeltà correntizie a questa o quella personalità, bensì linee politiche rispetto ai problemi paese e questo è sale per la democrazia e ossigeno per la vita di un partito.
Non sia troppo diplomatico.
Per dirla schematicamente: da una parte c’è chi dice che Monti è stato una necessità, accettata per mancanza d’alternativa ma l’agenda Monti non è la nostra agenda. Fassina e altri esponenti della segreteria la pensano così. Io credo che in questa fase l’agenda del governo sia l’agenda del paese e chiunque voglia presentarsi agli elettori come parte della soluzione e non del problema, deve fare sua quest’agenda sia sul versante risanamento – spesa pubblica, riforma finanziaria, riduzione del debito, pareggio di bilancio – sia sul versante della crescita, perché adesso è difficile immaginare fare crescita con l’aumento della spesa pubblica.
Resta il fatto che l’ala più conservatrice del partito è in difficoltà sulla riforma del lavoro. E non è un elemento da poco dal momento che Monti intende andare avanti anche senza il sì dei partiti.
La crescita va stimolata solo attraverso più mercato, quindi liberalizzazioni e riforme comprese quella del lavoro, accanto a liberalizzazioni da attuare pure a livello europeo come indica la lettera dei dodici capi di governo voluta da Monti. Serve certamente l’equità sociale: siamo un paese che non cresce e anche molto ingiusto, ma l’equità si deve fare in modo innovativo, non restando aggrappati alle forme del passato.
Faccia un esempio.
Quando Draghi dice che il modello sociale europeo rischia di essere qualcosa che appartiene al passato perché nessuno dei giovani oggi ha quel tipo di garanzie che avevano i loro padri, ci dice che noi dobbiamo costruire una nuova generazione di diritti per una nuova generazione di lavoratori. È l’unico modo per fare vera equità sociale.
Riforma del lavoro e articolo 18. Come andrà a finire nel Pd?
Penso che la vera tutela dei diritti dei lavoratori si costruisce realizzando una rete di sostegno del lavoratore ‘nel’ mercato del lavoro e non più semplicemente ‘sul’ posto di lavoro come è stato in passato. Oggi le condizioni generali sono mutate. La vera difesa è accompagnare il lavoratore da un’occupazione a un’altra, di fronte all’inevitabile esigenza di cambiare. Occorre andare oltre la cassa integrazione; ciò che sostiene Fornero è condivisibile. La cassa integrazione va bene per le ristrutturazioni ma non può essere un’erogazione di risorse enormi a perdere se non c’è più possibilità di tornare nell’impresa. Ricordo in proposito il caso clamoroso dell’Alitalia: 7 anni di cassa integrazione sono costati una voragine di soldi, quando invece serviva un piano di ricollocazione di quel personale in altre situazioni occupazionali. Ci vuole il sussidio di disoccupazione abbinato a politiche attive di reimpiego dei lavoratori. Poi c’è tutto il tema dell’articolo 18 nella componente licenziamenti economici.
Ma Bersani sta con la Camusso o con Ichino?
Occorre difendere il reintegro nei casi di licenziamento per ragioni discriminatorie e su questo siamo tutti d’accordo. Semmai, andrebbe semmai esteso anche alle aziende con meno di 15 dipendenti; mentre nell’altro caso le proposte di Ichino che, nella sostanza il governo sta valutando, indicano la giusta direzione: indennizzo economico, sostegno al reddito in fase di disoccupazione e progetti di ricollocazione in altri posti di lavoro. Ovviamente tutto ciò costa e non può che essere graduale, ma la strada è quella.
E Bersani in quale direzione sta andando?
Bersani sta cercando di tenere insieme cose diverse, come è giusto e comprensibile faccia da segretario del partito. Ho la massima comprensione per la fatica e la difficoltà di un leader a tenere unito un grande partito in un momento come questo. Sono tra quelli che chiedono a Bersani un più netto profilo riformista del Pd. Il nostro partito non deve perpetuare l’antica paura della sinistra di avere nemici a sinistra, perché quella paura porta solo danni. Alla nostra sinistra, c’è una sinistra antagonista, critica, massimalista, estremista con la quale è giusto dialogare ove possibile, ad esempio nelle amministrazioni locali è possibile collaborare, ma rispetto alla quale il Pd deve avere un suo chiaro profilo distinto se vuole parlare a tutto il paese e non a una parte minoritaria del paese.
Secondo lei in che modo l’idea di un Monti dopo Monti può prendere forma?
Dobbiamo fare tre cose. Primo: sostenere senza se e ma la fine del governo, poi sui dettagli si può discutere ma sulle scelte di fondo il Pd per parte sua e mi auguro anche Pdl e Terzo Polo, deve chiaramente stare dalla parte di questo governo, senza incertezza. Secondo: dobbiamo costruire una legge elettorale che consenta di andare al voto in modo diverso dal passato. Veniamo da elezioni che hanno visto contrapposti due coalizioni nello schema di un bipolarismo imperfetto, polarizzato sulle estreme. Oggi è necessario passare a un bipolarismo più costruttivo e propositivo, basato sulla competizione tra due grandi partiti. In questo senso vedo un sistema proporzionale a base tedesca, quindi con soglie di sbarramento e collegi uninominali, con robusti correttivi di tipo spagnolo che premino le due maggiori forze politiche e introducano un elemento coesivo e di contrasto alla frammentazione. Terzo: con una nuova legge elettorale i due grandi partiti dovranno presentarsi in campagna elettorale cercando di convincere gli italiani – ciascuno per parte sua – di essere la forza politica che meglio può rappresentare il proseguimento di questa esperienza di governo. In alternativa e se le condizioni generali lo richiederanno, è possibile una collaborazione bipartisan nell’interesse dell’Italia.
In questo secondo scenario che ruolo potrebbe avere Monti?
Lo dovrà decidere lui. Si vedrà cosa succederà da qui alla fine della legislatura. La cosa importante è che ci sia una situazione politica in cui entrambi i poli cercano di competere-convergere verso il centro, verso il cuore problemi del paese cioè l’agenda che oggi ha Monti. Il punto è chi può portare avanti quell’agenda nel modo migliore. Spero che ciò succeda, perché in questo caso, chiunque vinca, il paese sarà in buone mani.
La foto di Vasto è da stracciare?
Vasto così come il patto Bossi-Berlusconi sono il simbolo di quel bipolarismo sbagliato del passato, dove si capisce chi è l’avversario ma non quale programma ci unisce. In Senato abbiamo votato il rifinanziamento delle missioni militari all’estero: Lega e Idv facevano a gara a chi la sparava più grossa. Come si può pensare che il centrodestra riproponga l’alleanza con la Lega o noi immaginiamo di andare al governo con Idv e Sel se non si chiariscono punti fondamentali come quello della politica estera? Per non parlare poi di politica economica.
Casini e le spinte neocentriste sono ben lontani dal nuovo bipolarismo che lei auspica.
Penso che i terzi poli possano rappresentare fasi transitorie ma poi devono accasarsi da una parte o dall’altra. Da un lato, può darsi che Casini voglia costruire insieme ad altri il Ppe italiano: questo sarebbe per noi un avversario duro. Dall’altro è verosimile che Casini possa accettare una proposta di alleanza con un nuovo centrosinistra di governo. Al momento, tuttavia, sembra rifiutare qualsiasi ultimatun ed è nel pieno diritto di farlo.
Come se ne esce?
Io vorrei un sistema elettorale che non costringesse con la ‘forza’ Casini a scegliere prima delle elezioni da che parte stare ma al tempo stesso che non costringesse neppure i due partiti a dipendere necessariamente da lui. Il modello tedesco-spagnolo è l’opzione migliore: i due partiti devono rischiare di dipendere da Casini e lui deve rischiare di essere irrilevante rispetto ad entrambi. E chi deve scegliere sono gli elettori.
Lei è un esponente della componente cattolica democrat. Qual è il sistema politico migliore in grado di valorizzare il contributo dei cattolici; penso al welfare sociale, alla famiglia, alla difesa della vita e della persona?
L’apporto dei cattolici, della loro grande tradizione di cultura politica può essere valorizzato in un contesto nel quale c’è una competizione tra grandi forze politiche al centro dello schieramento politico e non sulle estreme, perché questo permette ai cattolici di essere incisivi e determinanti. Dobbiamo uscire dall’attuale bipolarismo coatto che ha umiliato il contributo dei cattolici perché giocato sulle estreme, senza però finire in un sistema di trasformismo parlamentare perché anche questo finirebbe per far scendere la politica in basso.
Il senatore Quagliariello dice che occorre passare da un bipolarismo ‘ortopedico’ a un bipolarismo politico. Sui titoli siete d’accordo e sui contenuti?
È il punto che ci accomuna, poi restiamo avversari. Ci accomuna l’idea della necessità di costruire un nuovo sistema politico.