Al Pdl serve un partito di onesti e all’Italia un Pdl che faccia politica
11 Luglio 2011
Paradossalmente la maggioranza che sostiene il Governo mentre cresce in Parlamento sembra sgretolarsi politicamente. Con la fuoriuscita da Fli di Urso, Ronchi e Scalia, tornati nell’ambito del centrodestra esprimendo il lodevole proposito di contribuire a ridefinirlo, l’esecutivo può contare su voti in più che di questi tempi sono una piccola manna. Ma che cosa se ne fa dei consensi parlamentari, buoni soltanto quando si tratta di rinnovare la fiducia, se poi va sotto ad ogni stormir di fronde, come è accaduto sulla Legge Comunitaria? E, soprattutto, come intende far valere il non trascurabile dato numerico nella lotta politica? È evidente che l’aritmetica non è tutto nel rapporto tra maggioranza e opposizione. Entrambe devono dotarsi di strategie al cui supporto sono indispensabili i numeri. Francamente è da un po’ di tempo che di questa materia non se ne vede sia nel centrodestra quanto nel centrosinistra. Se il secondo è afflitto da questioni inerenti la leadership, le alleanze e la linea politica, il primo sconta la mancanza di coesione al proprio interno aggravata dal conflitto tra il premier ed il ministro dell’Economia e da una stagione di scandali che sarebbe insensato sottovalutare non soltanto per la gravità oggettiva degli stessi, ma perché la gente non ne può davvero più di mediocri che si approfittano delle cariche che occupano per fare i loro comodi.
Il partito degli onesti, generosamente e sinceramente evocato dal segretario del Pdl Angelino Alfano, è un’aspirazione alla quale tutti gli elettori del centrodestra tendono con entusiasmo. Ma non basta, bisogna pure operare affinché il partito si riconosca in un’idea di Stato nella quale è insita quella di legalità e rilanci con forza la costruzione di un ordine civile quale presupposto della riorganizzazione sociale.
Nei bei discorsi che ascoltiamo nelle riunioni del centrodestra, mi ha sempre molto sorpreso che dello Stato – e cioè dei suoi fondamenti moderni, delle sue prerogative, della necessità che venga riconosciuto, della sua riforma – non se ne parli più, come se fosse diventato un soggetto da rimuovere. Il che è singolare se si tiene conto che nel mondo conservatore europeo esso è al centro dell’attenzione cercando i modi e le forme per farlo convivere, come elemento regolatore, con le strutture della società civile e a presidio delle libertà della persona. Da noi, soprattutto nell’ambito in cui ci si attenderebbe di trovarlo, vale a dire nel centrodestra, niente, neppure l’ombra di una discussione sui cambiamenti che stanno intervenendo nella sfera statuale in tutto il mondo occidentale.
Potrei fare altri esempi sull’impoverimento della politica, ma soltanto per sottolineare come questa, priva di idee, si sia ridotta ad una sorta di terminale mercantile, quando non volgarmente affaristico, che per di più sembra accettato da tutti, indistintamente, rassegnati, pare, a non levare lo sguardo più in alto delle piccole beghe intestine che scuotono i partiti e nauseano i cittadini.
La ricostruzione del centrodestra, nel più vasto ambito della riforma del sistema politico, passa per lo smantellamento delle sovrastrutture che nel corso degli anni lo hanno anchilosato e per una vera e propria rivoluzione culturale tesa a dare sostanza a quel partito globale, dalla struttura plurale, "a rete" insomma, capace di occuparsi dei grandi mutamenti in corso ed essere così di supporto critico al governo che si troverà ad appoggiare.
Non so se sarà il Pdl o un altro soggetto chiamato ad incarnare la funzione di interprete e dei fenomeni politici e socio- culturali in atto. Certo è che l’afasia non s’addice ad una forza politica. Temo che nel centrodestra, ed il particolare nel Pdl, non tutti ne abbiano consapevolezza. Perciò si continua a rimandare a chissà quando il tempo della catarsi che dovrebbe favorire la rigenerazione delle idee, nel mentre correnti, conventicole e cenacoli non proprio dediti alla ricerca del bene comune si scontrano in maniera indecente per affermare i loro poteri accerchiati (ma non lo sanno) da una società che guarda con disprezzo alla politica (al di là delle appartenenze) e questa non si sa difendere, non sa reagire, si fa mettere alla gogna dal qualunquismo più becero, quando motivi per reagire ne avrebbe a bizzeffe. Un po’ forse si vergogna perché consapevole che l’antipolitica nasce non dal risentimento degli esclusi, ma dalla certezza che lo spettacolo offerto dalle classi dirigenti è tutt’altro che edificante per di più in un momento in cui le condizioni economiche generali tendono alla depressione.
Anche su questo piano, nel contrastare l’antipolitica intendo dire, non mi sembra che il centrodestra, nelle sue diverse articolazioni partitiche e parlamentari stia dando il meglio di sé. Ignorando che, ancor più della sinistra, da questa ondata di piena potrebbe essere travolto dal momento che giornali ed opinione pubblica gli attribuiscono, forse ingiustamente, le maggioritari responsabilità al riguardo, se non altro per il discutibile reclutamento dei membri della "casta".
Spero che, per quanto possa far male, la verità non disturbi al punto di nasconderla come polvere sotto il tappeto. Il partito degli onesti può e deve essere anche il partito delle libere intelligenze che hanno tutto l’interesse a lavorare per un destino comune migliore, piuttosto che contro qualcuno o, peggio, a difendere posizioni personali o di gruppo.