Al Qaeda è solo uno dei nomi della “guerra infinita”
03 Marzo 2010
Al Qaeda non è stata sconfitta, a differenza di quello che ha scritto Fareed Zakaria. Nel Novecento le guerre sono diventate mondiali e quella attuale, la Quarta nell’ordine, si è a sua volta trasformata in un conflitto epidemico dove non ci sono vincitori né vinti ma una lunga battaglia quotidiana. La persistenza della minaccia di Al Qaeda solleva quindi il velo sul futuro della nostra sicurezza. Una guerra amorfa che si combatte ovunque, senza confini di spazio o di tempo, infinita.
“La nostra responsabilità verso la Storia è chiara – disse George W. Bush tre giorni dopo l’11 Settembre – rispondere a questi attacchi e ripulire il mondo dal male”. E nella National Strategy for Combating Terrorism del 2003: “La guerra contro il terrore globale sarà lunga e dura. Oggi esistono cellule terroristiche in ogni continente e in dozzine di nazioni, compresa la nostra…”. We will not rest until we succeed.
La dottrina della War on Terror (Infinite Justice) prevedeva un dispiegamento offensivo degli Usa su molteplici fronti: polizia internazionale, rendition e operazioni “coperte”, occupazione di Paesi ostili, contrasto degli Stati sponsor del Terrorismo, contro-insorgenza, pratiche come il waterboarding e istituzioni eccezionali come Guantanamo. Finché ci si è scontrati con le difficoltà del nation-building iracheno. Oggi il Generale Odierno fa sapere che il ritiro americano dall’Iraq è collegato alla stabilità politica del Paese dopo le elezioni del prossimo 7 marzo: la missione "è compiuta", almeno parzialmente, e il seme della democrazia è stato piantato in Medio Oriente. Questo risultato non è bastato a sconfiggere Al Qaeda. Obama ha sostituito la guerra al terrore con le Overseas Contingency Operation, l’Iraq con l’Afghanistan, ma il risultato è identico.
Bush e Obama hanno scelto di combattere due guerre “old-style”. Quand’anche questi conflitti finissero, il ritiro non metterà fine allo scontro più generale in atto. Gli Stati Uniti sono di fronte a disparate forme di insorgenza generate da cause locali e transnazionali. La global counterinsurgency rappresenta di conseguenza la fase postuma dei conflitti moderni, una mobilitazione bellica permanente. L’America e i suoi Alleati stanno cercando di garantire questa copertura planetaria ma i loro apparati militari, abituati alle grandi manovre del passato, appaiono di colpo lenti nell’adeguarsi alla Netwar scatenata da Al Qaeda.
Un imam fondamentalista che vive ad Aden può istruire facilmente i suoi “martiri” in territorio nemico. Basta essere in Rete per far scattare l’eccidio del Maggiore Hasan a Fort Hood o il fallito attentato di Natale al Volo Delta. Intanto la spesa militare degli Usa sale a ritmi vertiginosi.
Al Qaeda è come una Spectre dalla lunga coda, un replicante destinato ad essere sostituito da altre sigle o denominazioni senza venire mai sconfitto. Questo nemico deve essere affrontato con un strategia “many and small”, come l’ha definita John Arquilla sull’ultimo numero di Foreign Policy: per prevenire e sventare le minacce dei terroristi serve un ‘manipolo’ di guerrieri specializzati che avranno il compito di “pattugliare” il globo. L’ascesa dei Globocop, per metà uomo e per metà macchina, è già iniziata.