Al Qaeda vuole entrare in Europa dalla Spagna

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Al Qaeda vuole entrare in Europa dalla Spagna

27 Dicembre 2008

Nonostante le quotidiane dichiarazioni di guerra di al-Qaeda & C. contro l’Occidente, grazie al presidente Bush e al suo governo dopo l’11/9 gli apparati di sicurezza Usa hanno impedito ulteriori attentati in territorio americano e smantellato sistematicamente le cellule terroristiche in tutta Europa, insegnando strategie precise anche alle polizie europee. Per esempio, in Spagna, dopo le bombe dell’11 marzo 2004, sono stati neutralizzati almeno nove piani terroristici col coordinamento delle agenzie statunitensi. Ora però bisogna non abbassare la guardia e continuare ad analizzare il fenomeno jihadista per prevenirlo. È quanto fa, per esempio, il professore madrileno Luis de la Corte Ibáñez, accademico di psicologia sociale, specializzato sul terrorismo.

La Spagna, appunto, è uno dei luoghi maggiormente a rischio per le infiltrazioni jihadiste, e in un recente dossier il professore individua i problemi provenienti dalle città di Ceuta e Melilla, enclavi spagnole in territorio marocchino. Da anni proprio in esse si sta sviluppando una compagine sempre maggiore di propaganda culturale e di azione concreta a favore di al-Qaeda e del jihad. Data la loro posizione geografica e sociale, queste enclavi europee nel Nord Africa fin dal 2000 sono monitorate attentamente, e negli ultimi tempi si sono registrati incrementi preoccupanti della minaccia terroristica. Le analisi d’intelligence sanno quanto esse siano terreno propizio alla diffusione delle versioni più radicali dell’Islam. Esse sono nel mirino dei gruppi terroristici per due motivi paradossalmente quasi opposti: da una parte Ceuta e Melilla sono ideali per fungere da retroguardia e base logistica del jihad per le infiltrazioni e gli attacchi da compiere in Europa; dall’altra, tuttavia, queste città spagnole in terra araba possono anche diventare esse stesse obiettivi terroristici e venire colpite duramente.

Sul primo punto, il professor Ibáñez spiega che «ogni campagna terroristica richiede attività logistiche estese su scala internazionale. Ceuta ha proprio le caratteristiche che la rendono propizia allo scopo». Ogni giorno viene attraversata da decine di migliaia di emigranti e di lavoratori, 30.000 persone passano quotidianamente la frontiera solo dal varco di Tarajal: questa è la via di fuga o il rifugio ottimale per i militanti jihadisti provenienti dal Marocco verso l’Europa e viceversa. L’aprile scorso il ministero degli Interni marocchino, in occasione del riconoscimento a Ceuta di due integralisti addestrati nei campi di al-Qaeda del Mali e ora scomparsi in Europa, ha ammesso che il passaggio nella penisola fa parte costante dei tragitti verso obiettivi terroristici o zone di conflitto; negli anni scorsi molti giovani islamici europei passavano per Ceuta diretti in Iraq. Nel 2006 e 2007 le forze speciali marocchine hanno smembrato a Tetuan (città marocchina a ridosso di Ceuta) una rete di reclutamento di combattenti per l’Iraq connessa ad al-Qaeda e al Gspc algerino.

Ma Ceuta e Melilla, nel delirio propagandistico dell’integralismo islamico, rappresentano anche un perfetto motivo di predicazione populista anti-occidentale: queste infatti vengono fatte passare come territori occupati dalla cristianità, terre da liberare al pari della Palestina, della Cecenia, dell’Afghanistan, dell’Iraq, ecc. E per riconquistarle occorre bombardarle di attentati rivolti a sedi spagnole, navi europee, civili anche musulmani da immolare alla causa, moschee non allineate al radicalismo salafita-jihadista. «Dal maggio 2007 su molte pagine web jihadiste gira un video di Abu Musab Abd al-Wadoud, emiro di al-Qaeda nel Maghreb Islamico, il quale si appella ai musulmani del Nord Africa per ribellarsi alla Lega Araba, alla monarchia marocchina, agli occidentali, agli islamici apostati, per “liberare” Ceuta e Melilla e “ripulirle dalle impurità della Spagna”. Su al-Jazeera nel dicembre 2006 venne mandato in onda un discorso di al-Zawahiri, luogotenente di Bin Laden, in cui esortava i musulmani a riconquistare Ceuta e Melilla insieme con tutto il territorio del leggendario al-Andalus (Spagna).

Ma perché queste città sono socialmente così favorevoli al recepimento della propaganda terroristica? Innanzitutto bisogna sottolineare quanto tale propaganda derivi in primis dalle predicazioni salafite; da ogni indagine d’intelligence spagnola e marocchina si evince come sia questa la corrente teologica più pericolosa e quella su cui s’appoggia il jihad per il reclutamento di militanti e la diffusione dell’integralismo religioso. Nel mondo musulmano e in Europa questa predicazione in favore del terrorismo antisemita e antioccidentale parte soprattutto dalle moschee: qui vengono convinti e cooptati i giovani, la cui educazione proseguirà in seguito in madrase asiatiche o in campi di addestramento militare. Ciò assume una dimensione ancor maggiore a Ceuta. La città, oltre ai fattori precedentemente analizzati, possiede un substrato sociale fortemente a rischio, dovuto al degrado, alla miseria, alla disoccupazione, all’illegalità, alla densità demografica. Un suo famoso grande quartiere, il quartiere del Principe Alfonso, è una casbah terrificante a predominanza marocchina, totalmente al di fuori d’ogni controllo legislativo e di sicurezza. La polizia in assetto di guerra ha enormi difficoltà anche solo a entrarci ed è respinta dalla popolazione. Al suo interno predomina il narcotraffico dell’hashish, in una dimensione tanto importante da essere non solo punto di partenza per la sua esportazione in tutta Europa, ma principale fonte di finanziamento per l’edificazione proprio di quelle moschee legate all’integralismo.

Il ministero marocchino degli Affari Religiosi in teoria dovrebbe scegliere anche gli imam che predicano a Ceuta, controllandone l’attività e prevenendo i rischi jihadisti, ma così come accade anche nel resto del Marocco la vigilanza sui centri islamici non riesce a essere totale. Per questo motivo occorrerebbe che anche in Europa si sviluppasse un controllo sistematico sulle moschee e sui luoghi di culto islamici. C’è da dire che i primi a essere contrari alla diffusione dei programmi salafiti sono i musulmani moderati, ed è contro di loro che spesso si rivolge la violenza integralista. La maggior componente di forza del terrorismo è la coesione di elementi religiosi con elementi di criminalità comune: la sovrastruttura ideologica dell’Islam Robin Hood conto gli infedeli occidentali fornisce la pseudo-giustificazione morale ai giovani islamici indottrinati, ma è la rete di cosche mafiose del mercato della droga a finanziare il jihad, assieme allo sfruttamento dei clandestini.

Come prevenire tutto ciò? Ibáñez individua varie misure applicabili a Ceuta, ma altresì esportabili in tutte le città europee:

– incremento della vigilanza e dell’intelligence per individuare le attività di proselitismo salafita-jihadista; monitoraggio sistematico di moschee e carceri; miglioramento dei sistemi di sicurezza su mezzi di trasporto e infrastrutture cittadine; maggiori controlli di frontiera; guerra totale al narcotraffico.

– ancora maggiore collaborazione internazionale fra la Spagna e il Marocco; cooperazione informativa e operativa fra le rispettive forze di sicurezza; possibilità per il governo spagnolo d’opporsi alla predicazione di imam integralisti e antioccidentali.

– sviluppare in modo sistematico misure d’ordine locale destinate all’integrazione sociopolitica della popolazione musulmana facendola emergere dal proprio contesto illegale e criminogeno (e questo è il punto più dolente); il proselitismo integralista e terroristico (così come accade pure per quello mafioso) si attua principalmente in aree fortemente autoisolate, emarginate, quartieri poverissimi con tassi spaventosamente alti di analfabetismo e ignoranza: occorre migliorare queste condizioni di vita e incrementare la sicurezza dei vari quartieri a rischio. Parimenti occorre creare una vera cooperazione fra le istituzioni civili e religiose musulmane (nel caso specifico di Ceuta, ma pure in altri contesti urbani europei e nordafricani) per risolvere i problemi di insuccesso scolastico, di integrazione sociale, e prevenire la caduta dei giovani nella criminalità comune, nella marginalità, e quindi nel terrorismo. I leader islamici moderati devono finalmente attivarsi al di là di ogni ambiguità per rifiutare pubblicamente il jihad e la violenza propagandistica, e per contribuire a promuovere il miglioramento delle opportunità sociali, impegnandosi soprattutto con le forze dell’ordine nella lotta contro la delinquenza e il terrorismo.

Questo dossier dimostra, infine, se ce ne fosse ancora bisogno, come la vera lotta al terrorismo non possa essere disgiunta da una cooperazione col mondo religioso musulmano moderato, ma solo ove esso s’impegni ad emarginare e condannare terrorismo e sharia con una forza che finora non è stato assolutamente in grado di dimostrare. Partendo in primo luogo dalle moschee.