“Al Senato il piano dei finiani non passerà”

LOCCIDENTALE_800x1600
LOCCIDENTALE_800x1600
Dona oggi

Fai una donazione!

Gli articoli dell’Occidentale sono liberi perché vogliamo che li leggano tante persone. Ma scriverli, verificarli e pubblicarli ha un costo. Se hai a cuore un’informazione approfondita e accurata puoi darci una mano facendo una libera donazione da sostenitore online. Più saranno le donazioni verso l’Occidentale, più reportage e commenti potremo pubblicare.

“Al Senato il piano dei finiani non passerà”

27 Ottobre 2010

Messaggio in bottiglia per il presidente della Camera e capo di Fli. Mittente: Gaetano Quagliariello, vicepresidente dei senatori Pdl. Fini approva il D’Alema-pensiero ed evoca una nuova suggestione futurista affermando che “un governo diverso dall’attuale non sarebbe un colpo di Stato, solo un problema di opportunità”. Lo dice oggi, Fini, dopo aver ripetuto fino a ieri che l’unico governo che deve governare è quello di Silvio Berlusconi e che in caso di crisi, meglio tornare al voto. Il messaggio di Quagliariello è netto: “I governi tecnici non esistono, la penso come il presidente Napolitano. I governi sono politici e sono tali su mandato degli elettori. Poi, esistono esecutivi che non nascono dalla sovranità popolare e chi si incarica di evocarli non deve nascondersi dietro un dito ma assumersene la responsabilità politica”.

Nella conversazione con l’Occidentale, il berlusconiano tra i più ascoltati dal Cav. allarga l’analisi a ciò che muove, anzi agita il quadro politico: dal partito al governo. Destini comuni, con la costante di continue variabili, dentro e fuori la maggioranza che impediscono previsioni a medio termine ma impongono al Pdl una scelta di fondo, ormai non più rinviabile: da che parte andare e come andarci. Ancora: se farsi travolgere dalla sindrome malpancista e procedere dritti verso l’implosione oppure imprimere una svolta, ripartire e lavorare a un progetto di più ampio respiro che vada oltre il Pdl, ora che Fini appare tentato di prendere parte al "grande gioco": far fuori il Cav. dalla scena politica.

Il passaggio chiave è la serietà di una classe dirigente chiamata a riposizionare il partito – specialmente sul territorio – e a supportare la leadership di Berlusconi. Difficile avere in tasca ricette risolutive, tuttavia partendo dall’analisi di ciò che è accaduto negli ultimi due anni si può provare a tracciare una via d’uscita, possibile. Quagliariello ci prova, offrendo al dibattito una visione di prospettiva che non scavalca le conflittualità interne al partito che pure ci sono, tuttavia le considera “superabili, se c’è la volontà di tutti”.

Il quadro politico. Cosa è successo? Dapprima i finiani hanno dato vita a un’opposizione permanente interna, tradottasi in un continuo stillicidio e in controcanto quotidiano. Quindi, si sono collocati in una situazione ambigua: sono rimasti dentro al partito ma avevano un gruppo parlamentare autonomo. "Erano già un gruppo ma stavano dentro, ed è evidentemente fisiologico che in una situazione di questo tipo la vita del partito si fermi". Successivamente sono usciti dal PdL e hanno costituito un termine di confronto interno. E’ da questo momento che si sono palesati malumori e se in una certa fase si potevano catalogare alla voce “proteste” – ragiona Quagliariello -, oggi il menù quotidiano di cene e incontri più o meno carbonari tra gruppi e sottogruppi di parlamentari che si scompongono e ricompongono alla velocità della luce, attribuisce al ‘clima’ due valenze difficili da distinguere. Da un lato la volontà di incontrarsi, capirsi, parlarsi e trovare punti di collegamento; dall’altra il segnale di una situazione che rischia di andare verso l’implosione se nel frattempo non ci si attrezza, non solo per l’oggi ma anche per il domani.

Il governo. Il fattore ‘interno’ incrocia quello ‘esterno’. Se ad agosto c’è stata una certa accelerazione sull’ipotesi del voto anticipato, con la fiducia che Berlusconi ha ottenuto in Parlamento a fine settembre “lo schema è andare avanti sui cinque punti programmatici e capire su questo se c’è la volontà effettiva di sostenere il governo” ammonisce il vicepresidente dei senatori perché “il governo può andare avanti o prendere atto che non ci sono più le condizioni, ma deve essere chiaro che chi stacca la spina deve assumersene la responsabilità politica davanti agli elettori”. Da questo punto di vista i tre ‘no’ e il ‘sì’ di Fini alla riforma della giustizia rappresentano un campanello d’allarme per la maggioranza anche se Quagliariello preferisce guardare al bicchiere mezzo pieno quando dice che “se e ci si intende sulla separazione delle carriere e sulla riforma del Csm, sul resto poi si può vedere”.

Il Pdl. In questo contesto il punto non riguarda solo l’organizzazione. “Far ripartire il partito è un problema anche politico, sia per evitare la concorrenza di Fli, sia per scongiurare il rischio che ciò possa influenzare la tenuta o meno della legislatura”.

Perché un problema politico? Il dato oggettivo è che il Pdl è stato il fatto strutturale della legislatura, speculare al Pd nella sua forma originaria, cioè due grandi partiti architrave del bipolarismo. Poi c’è stata la frattura e il nodo centrale adesso è: “Si abbandona il progetto del Pdl o si rilancia andando oltre il Pdl e lavorando al partito dei moderati? E sul piano organizzativo cosa significa?”

Interrogativi ai quali Quagliariello risponde così: “Da un lato costruire il partito degli elettori, dall’altro rendere effettivamente funzionale uno modello più classico di partito che possa neutralizzare le ‘sirene’ e le fughe di organizzazioni alternative che nel frattempo si possono mettere in moto”. Ma come si costruisce il partito degli elettori? “Si parte dal progetto delle sessantunomila ‘cellule’ dislocate sul territorio, edificate sulle dimensioni delle sezioni elettorali. Un progetto che apre al coinvolgimento diretto degli elettori. In termini di teoria dell’organizzazione è già una grande novità, un’idea del tutto rivoluzionaria. Poi c’è la prassi, che è tutta da vedere e da inventare".

Accanto a questo l’ufficio di presidenza del Pdl ha varato uno schema “più classico di partito e si è messa in moto la prospettiva di un Pdl che va oltre i suoi confini originari, cioè oltre il momento iniziale delle cooptazioni”. Sì, ma su cosa si basa? “Su una ponderazione tra partecipazione diretta (partito degli iscritti) e partito degli eletti – argomenta Quagliariello -. La road map sono i congressi: assise cittadine con l’elezione diretta del coordinatore, apertura delle iscrizioni, congressi provinciali con un voto ponderato ma con la partecipazione degli iscritti attraverso i delegati. Quindi, coordinatori regionali eletti dai grandi elettori e nel caso un candidato superi il 75 per cento dei consensi, il presidente rinuncia alla nomina. L’obiettivo della campagna di tesseramento: prevedibile fissarlo a un milione di iscritti se si tiene conto che in una fase di empasse del partito e di iniziativa politica, di iscrizioni ne sono state raccolte circa duecentomila tra quelle formalizzate e le prenotazioni on line”.

Uno schema che per il vicepresidente dei senatori, conferma l’ancoraggio al popolarismo europeo. In altre parole, un modello fondato su tre elementi, come è per i grandi partiti europei: il leader, una classe dirigente e un forte radicamento popolare. “Sulla persistenza del leader è facile scommettere, perché tutti ammettono che se ora venisse meno la leadership di Berlusconi sarebbe un problema non solo per il Pdl ma per l’intero sistema politico italiano. Sul radicamento popolare, la conferma sta nel raggiungimento del milione di iscritti. Il punto vero, è la classe dirigente".

La classe dirigente. Su questo aspetto, Quagliariello è netto quando dice che si dovrà capire se “questo processo riesce ad essere guidato senza trasformare il Pdl in un partito delle tessere oppure se si resterà in una condizione di conflittualità costante. Per questo è necessaria la stabilizzazione di una classe dirigente, quindici persone che aiutino e rafforzino la leadership. In quel caso, il Pdl si sarà consolidato sul piano dei contenuti e, da questo punto di vista, la scissione finiana gli avrà fatto bene; e sarà un partito destinato a diventare protagonista permanente del sistema politico. Se invece dovessero avere la meglio le rivalità interne, allora non è difficile prevedere un’implosione. E a quel punto, ciascuno se ne andrà con la sua piccola quota al seguito”. Ecco perché Quagliariello è convinto che “la serietà della classe dirigente” è il punto attorno al quale si giocherà molto del futuro del Pdl e della tenuta della legislatura, dal momento che un partito “forte e coeso è il miglior antidoto contro le ipotesi di governi tecnici o elezioni a marzo”.

Il partito dei moderati. Qual è il percorso? “Occorre superare la questione dell’identità di partenza, se facciamo prevalere le vecchie identità andiamo alla dissoluzione, il punto è includere, integrare le differenze. La partita non la si vede in astratto o sui giornali, ma su quello che accadrà nel prossimo periodo”. Anche perché l’altro aspetto che Quagliariello evidenzia è calibrato sulla situazione nelle realtà locali, dove Fli sta dispiegando le sue truppe e avviando la campagna di compravendita tra i malpancisti pidiellini. “Dovremo governare almeno una ventina di conflittualità, dal Piemonte alla Puglia. Il problema è la maturità che avremo nel trovare le soluzioni inclusive che daranno più forza al partito aprendo al rinnovamento, anche se non deve essere rinnovamento a tutti i costi e a prescindere, perché significherebbe estremizzare il dibattito interno”. 

E’ su questo che per il vicepresidente dei senatori vale la pena impegnarsi e vale molto più delle schematizzazioni che lasciano il tempo che trovano rispetto ai vari “liberamente”, “agilmente”, “berlusconianamente” che oggi agitano la vita interna del Pdl. Se la via appare tracciata, il metodo è “mettere insieme persone in grado di dirigere questo processo, ovunque sono. E sanare alcune contraddizioni che a livello locale sono oggetto di conflittualità, riportando al partito ribelli e dissidenti”. Altrimenti, “sarà una sconfitta per tutti”.

Fibrillazioni a Palazzo Madama. Sulla tenuta della legislatura e l’ipotesi di governi tecnici, negli ultimi giorni i riflettori sono stati puntati proprio sul gruppo del Pdl al Senato: cene con mal di pancia incorporato, documenti con raccolte di firme. Che succede?

"La verità – spiega il vicepresidente vicario dei senatori del Popolo della Libertà – è che il gruppo gode di buona salute. E proprio per questo siamo così ‘attenzionati’ e sotto pressione. Perché se qualcuno coltiva l’idea di un governo tecnico (vedo ad esempio che Bocchino sta con il suo partito in un governo e parla di un altro), il primo ostacolo è proprio il Senato dove la maggioranza uscita dalle urne è fortemente autosufficiente".

Quagliariello non si nasconde le insidie: "E’ ovvio – ammette – che chi dovesse tentare di dar vita a un governo alternativo avrebbe importanti risorse da spendere in termini di assegnazioni di incarichi, ma a dispetto di tante cronache fantasiose che ho letto in questi giorni, vorrei dire che il gruppo in Senato finora ha tenuto magnificamente, non è mai andato sotto, e se dovessi pensare a 15 persone che da un giorno all’altro dovessero cambiare maggioranza di appartenenza, proprio non saprei dove andarle a cercare… Da qui deriva l’attenzione spasmodica sui senatori del PdL che amplifica le fibrillazioni e spesso contribuisce a crearle. Ed è evidente che in un clima del genere sono necessari da parte di tutti grande equilibrio e grande responsabilità. Detto chiaramente: anche le analisi politiche, le proposte e i contributi migliorativi, sempre bene accetti, devono essere veicolati attraverso i giusti canali, valutati e filtrati anche in considerazione delle strumentalizzazioni alle quali si potrebbero prestare al di là delle intenzioni dei promotori".

Ogni riferimento al documento sull’organizzazione del partito e sui congressi territoriali è puramente casuale? "Non è affatto casuale. Ieri abbiamo avuto una dimostrazione plastica di ciò che ho appena detto. Si è svolta una riunione di gruppo tra le più pacifiche e costruttive che abbiamo avuto dall’inizio della legislatura. Eppure al termine della giornata abbiamo letto sulle agenzie allarmati ‘bollettini di guerra’, ispirati da un documento che come primo firmatario ha il senatore Comincioli che è compagno di scuola di Berlusconi e fra i suoi migliori amici. Un chiaro esempio di eterogenesi dei fini che dovrebbe essere di insegnamento a tutti. A cominciare da chi crede che questo governo, questa maggioranza e questo partito abbiano ancora tanto di buono da fare per il Paese".