Al Sisi non sarà Sadat ma neppure l’ultimo dei dittatorelli

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Al Sisi non sarà Sadat ma neppure l’ultimo dei dittatorelli

18 Maggio 2016

La questione, diplomaticamente parlando, è la più ghiotta in assoluto. La pace tra israeliani e palestinesi. E a muoversi con tutto il peso che può avere un grande e importante Paese come l’Egitto ieri è stato proprio il presidente Al Sisi.

In attesa della Conferenza internazionale di pace sponsorizzata dal francese Hollande, che però non convince troppo Gerusalemme, Al Sisi ha fatto una mossa a sorpresa dicendo che “l’Egitto è pronto a svolgere un ruolo tra palestinesi e israeliani per trovare una possibilità di risolvere questo problema che è durato già troppo tempo”.

E rivolgendosi a Israele ha chiesto “abbiate fiducia in me. Io vi dico: abbiamo realizzato la pace con voi, per voi e per noi, ed ora possiamo farlo di nuovo”.

La risposta di Gerusalemme non si è fatta attendere. “Israele – ha detto il primo ministro Netanyahu –  è disposto a muoversi assieme all’Egitto e ad altri Paesi arabi nel portare avanti il processo diplomatico e la stabilità nella regione”.

“Ho apprezzato l’operato di Sisi e sono incoraggiato dalla leadership che lui mostra in questa questione così importante”, ha sottolineato Netanyahu.

Idem per i palestinesi, con il portavoce di Fatah, il partito di Abu Mazen che ha “accolto con favore” l’intervento del Cairo.

Insomma, mentre Netanyau apre alla proposta di Al Sisi e mentre i francesi si danno da fare per attovagliarsi con il segretario di stato americano Kerry, viene da chiedersi che cosa abbia combinato ultimamente l’Italia con l’Egitto, che proprio in virtù di quello che abbiamo appena scritto dimostra di non essere certo l’ultimo arrivato nel concerto delle nazioni.

Subito dopo la scoperta della tragica fine di Giulio Regeni – il ricercatore italiano torturato e ucciso in circostanze ancora misteriose nella capitale dell’Egitto – il nostro governo ha quasi congelato le sue relazioni diplomatiche con il Cairo.

Giornali, associazioni, università straniere, hanno imputato ai servizi segreti egiziani l’omicidio Regeni, anche se, com’è stato detto e ripetuto dagli esperti del ramo, di solito i servizi non fanno ritrovare i cadaveri delle loro vittime per strada, se mai li fanno sparire, per sempre.

Sull’onda della commozione suscitata dall’omicidio di Regeni, il governo Renzi ha quindi messo nel freezer i bilaterali, sprecato la finestra di opportunità con l’Egitto che si era aperta dopo la scoperta del mega-giacimento Zohr fatta da Eni, e c’è mancato poco che qualcuno chiedesse sanzioni contro il Cairo.

Il governo ha anche richiamato in Italia il nostro ambasciatore, Massari, per consultazioni.

Poi però l’Europa, Francia in testa, è rimasta piuttosto fredda sul caso Regeni. Hollande nelle settimane scorse è volato da Al Sisi, non per dirgliene quattro ma per chiudere accordi economici milionari. In agenda anche la Libia, dove ormai remiamo nella direzione opposta a quella di egiziani, francesi, inglesi, russi…

Nelle ultime settimane, dopo il muro contro muro, Farnesina ed Egitto hanno ripreso a parlarsi. Torneremo probabilmente a fare vacanze e viaggi in Egitto e il Cairo sembra più disponibile di prima a condividere informazioni utili per le indagini sull’omicidio Regeni.

L’ambasciatore Massari, infine, invece di tornare al Cairo, è stato mandato dal Governo a Bruxelles.

Adesso arrivano queste dichiarazioni di Netanyahu, il leader dell’unica vera democrazia che esiste in Medio Oriente, Israele, che apprezza lo sforzo egiziano di mediazione nello storico conflitto tra palestinesi e stato ebraico.

Qualcuno più temerario di altri osserva addirittura che l’iniziativa presa da Al Sisi sembra riecheggiare per importanza quella di Sadat presa alla fine degli anni Settanta con Israele.

Ebbene, non vogliamo certo esagerare nei paragoni storici, anzi, visti i precedenti nell’area, serve prudenza sul cosiddetto “processo di pace” tra Israele e palestinesi, che troppe volte è finito in un vicolo cieco o nella intifada di turno.

Una cosa però continuiamo a chiedercela dopo aver sentito Netanyahu. Perché il governo italiano ha contribuito – perlomeno indirettamente – a dipingere al Sisi come l’ultimo dei dittatorelli? Nel grande gioco si fa sul serio: adesso quanto verremo presi sul serio?