Al via le sanzioni sul petrolio dell’Iran ma Cina e India ottengono la proroga
03 Luglio 2012
di E.F.
Da Domenica scorsa sono entrare in vigore le sanzioni statunitensi sulle esportazioni iraniane di petrolio. Un giro di boa simbolico di quella che è una vera e propria resa dei conti nel braccio di ferro che Stati Uniti, Europa, Israele e fronte sunnita mediorientale stanno compiendo per arginare le ambizioni nucleari militari di Teheran.
Ahmad Ghalebani, capo della prima compagnia petrolifera iraniana, la National Iranian Oil Co., ha nei giorni scorsi affermato che le esportazioni di petrolio greggio cadranno tra il 20 % e il 30% a causa dell’embargo proveniente dai paesi europei, in particolare i paesi del Sud Europa, tra cui Spagna e Italia che con l’Iran hanno legami commerciali ed energetici storicamente radicati (da notare anche che alcune delle centrifughe degli impianti d’arricchimento dell’uranio che Teheran attualmente possiede sono state vendute al regime degli ayatollah niente meno che dall’industria tedesca Siemens!).
Già oggi la produzione di greggio in Iran ha toccato il suo minimo storico rspetto al non troppo lontano 1989, anno della fine della prima guerra del Golfo iracheno-iraniana, con una produzione giornaliera di tre milioni di barili. Nel 2010, a ridosso del primo round di sanzioni, la produzione toccava i 3,7 milioni di barili giornalieri.
Solo lo scorso mese le esportazioni di greggio iraniano hanno subito un rallentamento del 20% rispetto al mese precedente, subendo un calo del 20%.
Ciò accade mentre il governo degli Stati Uniti del presidente Barack Obama, assoluto artefice assieme al suo staff delle sanzioni contro l’Iran, ha fornito a Cina e India una proroga di 180 giorni per ottemperare al regime sanzionatorio, pena l’estensione delle sanzioni anche nei confronti delle imprese energetiche indiane e cinesi ‘pizzicate’, in fase di monitoraggio commerciale e satellitare, ad acquistare greggio iraniano.
Dal canto suo, il governo di Teheran cerca di diversificare il proprio portafoglio clienti e di trovare sponde diplomatiche nella Russia di Vladimir Putin ed energetiche nella Cina di Hu Jintao. In particolare la Cina ha, solo lo scorso anno, importato circa 200 mln di barili di greggio dall’Iran, che sul totale delle importazioni cinesi di greggio conta per un valore compreso tra il 10 e il 13 per cento.
La Cina opera in Iran con almeno due grandi compagnie energetiche la Zhuhai Zhenrong e la Unipec, il braccio internazionale della nota Sinopec. Con le sanzioni statunitense imposte, le banche che finanziano le operazioni di Zhihai Zhenrong e dell’Unipec, rischiano di non poter accedere più al mercato finanziario statunitense o di non poter più fare affari con aziende americane all’estero.
Ma c’è poi il nodo India. C’è il rischio fondato che il governo di Nuova Delhi sia costretto nei prossimi mesi a far fronte a un ammanco energetico nell’approvvigionamento di campagne e città. L’India infatti non sarebbe in grado, a causa principalmente di cattiva regolazione interna e bassi livelli di produttività nei settori estrattivi, di dotarsi dei necessari livelli di approvvigionamenti di carbone, gas naturale e petrolio. Le sanzioni imposte dagli Stati Uniti e il livello di pressione internazionale cresciuta sul governo iraniano hanno già spinto Nuova Delhi ad abbassare le proprie esportazioni dal 16% al 10% delle proprie importazioni di greggio dall’estero. Il che di per sé aggrava le condizioni tanto iraniane che indiane.
Rimane in piedi il nodo dell’efficacia delle sanzioni volute dagli Stati Uniti. Le ragioni per cui sono state imposte ha due direttrici principali per il presidente Obama, una di politica interna (un corteggiamento dell’elettorato ebraico statunitense in vista delle prossime presidenziali deluso dallo stato dell’economia e dalle difficili relazioni di Obama con Benjamin Netanyahu) e l’altra di politica estera in un’ottica di contenimento americano delle pressioni saudite anti-iraniane.