Al via vertice Copenaghen. Editoriale-appello su 56 giornali del mondo
07 Dicembre 2009
di redazione
Cinquantasei giornali pubblicano oggi, lunedì, lo stesso editoriale per chiedere ai leader del mondo di decidere misure efficaci contro il riscaldamento climatico durante il vertiche di Copenaghen. Lo ha reso noto il quotidiano britannico Guardian.
Mentre si apre il vertice, giornali come Le Monde (Francia), Miami Herald (Usa), La Repubblica (Italia), Cambodia Deily (Cambogia) e Gulf Time (Qatar), lanciano un monito contro una situazione di stallo che potrebbe portare il pianeta ad essere devastato dal surriscaldamento. “Chiediamo ai rappresentanti dei 192 Paesi riuniti a Copenaghen di non esitare, di non cadere nei bisticci, di non rimpallarsi le responsabilità ma di trasformare questa grave fallimento della politica moderna in un’occasione per agire”, è scritto tra l’altro nell’appello.
Il Guardian riferisce che molti giornali hanno deciso di pubblicare l’editoriale in prima pagina. Il testo è scritto in 20 lingue, tra cui il cinese, il russo e l’arabo. Ed è stato preparato nell’arco di un mese con il contributo di diversi editorialisti, proprio in vista del vertice sul clima.
Oggi, in una Copenaghen blindatissima, è il giorno del via ufficiale allo storico vertice sul clima. Si apre la 15/a Conferenza Onu sui cambiamenti climatici (Cop15). Il Bella Center, sede del vertice è preso d’assalto dai delegati: 15mila la capienza massima del centro conferenze ma le richieste sono state più del doppio, circa 34mila, e 15mila delegati sono rimasti fuori. Un summit che vede per la prima volta la presenza di 103 tra premier e capi di stato. Di estrema rilevanza la presenza del presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, che ha annunciato la sua partecipazione alla chiusura dei lavori, quando si prenderanno le decisioni finali. Il Papa ha chiesto con forza di procedere verso un maggiore rispetto della natura e uno sviluppo solidale. “Si concluderà con un accordo firmato da tutti gli Stati – ha detto il segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon in un’intervista -. Tutti i capi di Stato e di governo sono d’accordo sull’obiettivo: adesso ci dobbiamo solo mettere d’accordo su come raggiungerlo”. Alle 10 sono previsti i discorsi ufficiali di apertura.
Usa, India e Cina insieme a Brasile e Sudafrica saranno i protagonisti di queste due settimane. E da questi Stati “ribelli”, ovvero in via di sviluppo, continua ad arrivare pressante la richiesta di un sostegno economico per l’abbattimento dei gas serra. Uno su tutti, la Cina. “È evidente che il pianeta è di tutti, ma sebbene i poveri devono assumersi delle responsabilità, non devono pagare al di là delle loro capacità: per arrivare a un consenso mondiale occorre assicurare giustizia ed equità” scrive il quotidiano Peking News, organo ufficiale del Partito Comunista. La Cina ha annunciato di voler ridurre le emissioni di gas serra del 40%-45% (rispetto al livello del 2005) entro il prossimo decennio. Il ministro per la scienza e la tecnologia della Cina, Wan Gang, in un’intervista al quotidiano britannico Guardian ripresa oggi da numerosi giornali cinesi ha affermato che le emissioni di gas della Cina, che insieme agli Stati Uniti è in testa alla classifica dei Paesi inquinatori, raggiungeranno un picco tra il 2030 ed il 2040 e solo dopo cominceranno a diminuire. La Cina, ritenendosi un Paese “in via di sviluppo”, rifiuta di fissare obiettivi precisi e vincolanti per la riduzione delle emissioni, che vengono invece richiesti ai Paesi industrializzati. Ciononostante Pechino, che sarà rappresentata dal premier Wen Jiabao al vertice sul clima di Copenaghen, appare determinata a ridurre le emissioni. “Non bisogna permettere a questa polemica tra poveri e ricchi – scrive in un editoriale il quotidiano China Daily – di impedire che due settimane di colloqui di Copenaghen sfocino in un nuovo accordo globale sul clima che succeda nel 2013 al protocollo di Kyoto”. Nell’intervista, Wan sostiene tra l’ altro che l’obiettivo della conferenza internazionale che si apre oggi nella capitale della Danimarca deve essere quello di “stabilire un quadro di riferimento per il trasferimento di risorse e tecnologia, piuttosto che bloccarsi sulle cifre”. La Cina ottiene oggi dal carbone circa il 70% dell’ energia che consuma, mentre le energie pulite e alternative coprono l’ 8-9% del consumo, una percentuale che Pechino si propone di portare al 15% entro il 2020.
Dura la posizione annunciata dal Brasile. “Faremo richieste molto dure, chiederemo ai Paesi ricchi e industrializzati circa 300 miliardi di dollari da destinare alla riduzioni delle emissioni – ha detto il ministro dell’ambiente Carlos Minc -. Chiederemo inoltre che questi Paesi taglino molto di più le loro emissioni”.
Un’apertura arriva invece dal Sudafrica, che si dice pronto a un compromesso con la disponibilità a rallentare del 34% entro il 2020 e del 42% entro il 2025 la crescita delle emissioni dei gas inquinanti, a patto che ciò avvenga nel quadro di un accordo internazionale e di aiuti finanziari e tecnologici.
Infine l’India, dove il premier Manmohan Singh ha tirato un sospiro di sollievo perché alla vigilia del vertice è rientrata la rivolta di due dei suoi principali sherpa che avevano annunciato le dimissioni in dissenso con la posizione indiana sulle quote di riduzione delle emissioni di CO2.
Secondo Yvo de Boer, segretario esecutivo della convenzione dell’Onu sui cambiamenti climatici, serviranno una decina di miliardi di dollari ogni anno per i prossimi tre anni per rispondere ai bisogni più urgenti dei Paesi più vulnerabili nel far fronte ai cambiamenti climatici. “Per questo – spiega – serve un rapido sblocco dei finanziamenti”. Anche perché “da qui al 2020, o al 2030 saranno necessarie cifre molto più significative, nell’ordine di centinaia di miliardi di dollari”.