Alain Elkann o dell’insostenibile leggerezza del manager culturale
20 Luglio 2010
Un fenomeno inspiegabile sta interessando il mondo culturale italiano. Un personaggio un po’ blasé e dinoccolato, con un accento francese d’altri tempi, capelli brizzolati e occhi di ghiaccio sta notevolmente ampliando la sua influenza nelle casematte della cultura di gramsciana memoria. Ma non attraverso l’esercizio dell’egemonia, bensì occupandole fisicamente una per una.
Con la flemma e l’eleganza disinvolta che gli sono proprie, Alain Elkann ha infatti aggiunto un altro incarico ai suoi già notevoli impegni pubblici. Presidente della Fondazione Museo Egizio di Torino dal 2004, Consigliere del Ministro Bondi da inizio legislatura, da poco meno di un mese è divenuto Presidente del comitato scientifico del Museo di Palazzo Te a Mantova, sostituendo il dimissionario Salvatore Settis, dopo esser stato chiamato da Letizia Moratti come spin doctor per dare una svolta comunicativa agli ultimi mesi di mandato in vista della ricandidatura a Sindaco di Milano. La moltiplicazione delle responsabilità, tuttavia, comincia a suscitare alcune perplessità, se non altro per il modo episodico con cui Elkann può dedicarvisi, foriero di un’inevitabile superficialità.
I dirigenti di Palazzo Marino hanno dimostrato un certo imbarazzo quando lo scrittore, interpellato nel corso di una riunione per trovare una risposta efficace alle polemiche sollevate dalla decisione di Renzo Piano di non procedere alla piantumazione di 3.500 alberi nel centro di Milano a fronte del rifiuto del Sindaco di riconoscere spese di progettazione per un milione di euro allo studio dell’architetto genovese, avrebbe risposto "mettiamo delle fioriere al posto degli alberi, costano sicuramente di meno". Una battuta degna di Chance Giardiniere in "Oltre il giardino", ma difficilmente apprezzabile nel contesto di uno staff meeting di emergenza convocato sull’onda della riprovazione del Corriere della Sera per la promessa mancata del Sindaco Moratti di fare di Milano una città verde.
Venuta meno la patina di autorevolezza, Elkann sembra abbia pensato allora di imporsi attraverso il dominio dell’autorità, facendo passare l’assioma per il quale egli sarebbe il "garante dei rapporti tra Milano e Roma". Bluff efficace in prima battuta, sufficiente a incutere timore nei dirigenti di Palazzo Marino, ma facile da smascherare per chi mastica un po’ di politica.
Allo stesso modo un lieve sgomento inizia a serpeggiare nella città dei Gonzaga, dove Elkann ha proposto una mostra sui faraoni per rilanciare Palazzo Te. Pochi giorni per elaborare la notizia e subito, pubblicamente, sono emersi i primi ragionevoli dissensi. Stefano Scansani, solido caposervizio delle pagine culturali della Gazzetta di Mantova, l’ha battezzata "Sindrome della mummia". In un articolo tra l’ironico e il sarcastico Scansani ha demolito la proposta del neo presidente Elkann, definendola priva di strategia e inconsapevole dell’essenza del centro di Palazzo Te. In Italia, infatti, negli ultimi anni sono state allestite già sei mostre dedicate all’ Egitto. Argomento inflazionato, non si vede lo spazio per una proposta adeguata. Inoltre una mostra simile colliderebbe con la storia del Centro Te, che non ha mai proposto mostre preconfezionate, "ovvie e populiste", riconducibili "agli impegni altri o alle provenienze del presidente", ma ha sempre ideato e elaborato la propria produzione di ricerca.
"Il Centro Te", ricorda Scansani a Elkann, "è laboratorio di ricerca, e soltanto dopo un’officina espositiva … dovrebbe inventare una formula nazionale per far fronte alla crisi di idee". Ma a Scansani, come a molti a Mantova, non sembra che Elkann possa portare soluzioni originali. Anzi sembra egli stesso un prodotto della crisi di idee, al punto di riciclare sempre gli stessi pensieri. E con cattiveria Scansani non manca di ricordarglielo: "Elkann ha immaginato anche una mostra sull’unità nazionale che nel 2011 compie 150 anni. Il Centro Te l’ha già fatta, precisamente nel 2007-2008 con la Nazione Dipinta". A dimostrazione che qualcuno nel nostro Paese sa ancora riconoscere il copiato. Ma pochi, forse, hanno il coraggio di denunciarlo.