Aleppo si prepara alla battaglia finale mentre già si pensa al dopo Assad

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Aleppo si prepara alla battaglia finale mentre già si pensa al dopo Assad

28 Luglio 2012

Aleppo. Già, il destino del regime di Bashar al Assad dovrebbe decidersi, con ogni probabilità, proprio nella seconda nonché più popolosa città siriana. E sono in molti, eminenti analisti e commentatori, a sostenere la tesi per cui ivi andrà a combattersi la “battaglia finale” della sanguinosissima guerra civile in corso da oltre un anno a questa parte. E’ la posizione strategica della città – a pochi chilometri dal confine turco – a renderla tanto importante. Ed è proprio in questo senso che la battaglia di Aleppo dovrebbe sancire la “resa dei conti” tra lealisti e ribelli più volte paventata in queste sedi.

I report parlano di truppe governative – tank e veicoli militari colmi di soldati – ammassate alle porte della città e pronte a sferrare l’attacco decisivo contro gli uomini del Free Syrian Army (FSA). I ribelli, invece, proseguono a giungere dalle aree limitrofe. Nel frattempo, elicotteri governativi continuano a perlustrare i cieli sopra Aleppo e, di tanto in tanto, bombardano. Secondo l’Osservatorio siriano dei diritti dell’uomo, infatti, sarebbero stati mitragliati dagli elicotteri lealisti i quartieri di Salaheddin e al-Azamiye (sud-ovest), Kasr el-Bustan, al-Mashhad e al-Soukkari (sud).

“Attacchi contro civili disarmati”, in base alla ricostruzione del portavoce della Casa Bianca Jay Carney; mera “eliminazione di terroristi”, secondo l’agenzia di stampa di regime.

Ora, però, al di là delle inevitabili discrasie tra quanto riportato dai media occidentali e la disinformatia assadiana, appare alla stregua di una certezza l’assunto per cui, ad Aleppo, si stia per scatenare un vero e proprio scontro campale. Sono le città capoluogo, inoltre, a rappresentare l’ago della bilancia tra le forze in campo. Ed i ribelli sono riusciti sì, nel corso dei mesi, a conquistare sempre più territorio ma mai ad espugnare Aleppo, Homs e men che meno Damasco.

Pessime, neanche a dirlo, le condizioni umanitarie della popolazione. Sono già in molti, tra i civili, ad essersi riversati nelle aree controllate dai ribelli, nel timore possano esservi delle rappresaglie delle truppe regolari. Per tali motivi, è come se fosse in atto una sorta di ulteriore migrazione: da Homs e Hama ad Aleppo ed ora da Aleppo verso i sobborghi limitrofi.

Probabile scontro campale, dicevamo. La superiorità delle forze assadiane rispetto al cartello, peraltro assai variegato e composito, delle opposizioni è tuttora fuori discussione. Sebbene tra i ribelli regni l’ottimismo. In un reportage tra i ribelli, Luke Harding del Guardian ha voluto raccogliere la testimonianza del colonnello ‘ribelle’ Abdul Gabbar Kaidi: “La vittoria è prossima. Quasi metà di Aleppo è controllata dall’FSA”, ha dichiarato il colonnello al giornalista del quotidiano britannico. Insomma, ottimismo. Pur in un contesto diplomatico sempre più frastagliato e, nel contempo, inquietante.

In tema, per il Wall Street Journal, l’amministrazione Obama avrebbe individuato l’uomo adatto a condurre la Siria fuori dal pantano della guerra civile verso una transizione sostenibile: si tratterebbe del da poco transfuga – dai primi giorni di luglio, per la precisione – Manaf Tlass, ex Generale della Guardia Repubblicana Siriana. Nome d’indubbio profilo istituzionale, un suo coinvolgimento nella risoluzione della crisi siriana avrebbe l’incommensurabile pregio di accontentare la totalità del nugolo di attori internazionali interessati, su fronti opposti, all’evolversi dell’affaire.

Tlass, anzitutto, è di etnia sunnita e non alawita sciita come Assad. Un segnale per il fronte saudita? Evidentemente sì. Si consideri un dato: martedì scorso, il Generale Tlass ha inviato un messaggio televisivo dagli studi del network Al-Arabiya, auspicando si possa addivenire “a un reale cambiamento” e vivere “in una rinnovata armonia razziale e religiosa”. “Non parlo come ufficiale, ma come figlio della Siria”, ha tra le altre cose affermato il Generale. Tutti gli indizi, dunque, porterebbero a pensare i sauditi abbiano puntato le loro fiches, per il dopo Assad, sul Generale Tlass. E la Russia? Be’, non dovrebbe impiegare molto tempo ad indorare la pillola, trattandosi pur sempre di un uomo (anche se ormai ex) del Raìs.

Infine, v’è sempre da analizzare la quaestio delle armi chimiche. Vero, il regime "utilizzerà tali armi esclusivamente nel caso di un attacco di Paesi stranieri”, tanto per ricitare quanto dichiarato qualche giorno or sono da un portavoce del ministero degli Esteri di Damasco. Eppure, nonostante le ‘rassicurazioni’, non v’è molto da stare allegri. Tutt’altro. Al riguardo, basta volgere l’attenzione alle conferme di Giulio Meotti de Il Foglio. Di fronte alla minaccia delle armi chimiche, Israele starebbe distribuendo oltre 3000 maschere anti-gas al giorno, nella malaugurata ipotesi dovessero terminare nelle mani di Hezbollah.

Il ministro della Difesa Ehud Barack si è dichiarato pronto a un intervento militare, il premier Benjamin Netanyahu non l’ha escluso, mentre per il titolare degli Esteri Avigdor Lieberman l’eventuale trasferimento equivarrebbe a una “dichiarazione di guerra”. Nulla di buono sotto al sole, quindi. Per lo Stato ebraico e gli assetti mediorientali nel loro complesso.