Alfano consegna a Bersani il ‘cerino’ sul semipresidenzialismo
06 Giugno 2012
di L. B.
“Ora o mai più”. Nella frase di Alfano c’è la tattica e la sfida politica. Ma ci sono pure i contenuti di quella che il segretario del Pdl definisce come “la riforma delle riforme”. A Palazzo Madama, con lo stato maggiore del partito al gran completo, presenta i cinque emendamenti cardine della proposta di modifica costituzionale per dare all’Italia il semipresidenzialismo.
La sfida. Nessun alibi: adesso si verificherà direttamente in Aula chi sono i veri riformatori e chi, invece, vuole mantenere le cose come stanno. Che tradotto vuol dire: se c’è la volontà politica si può fare. Anche con i tempi contingentati, la necessaria messa a punto di pesi e contrappesi, il confronto nel merito che il Pdl auspica in parlamento. Dove, è il concetto di fondo, devono cadere pregiudiziali, strumentalizzazioni e soprattutto veti a prescindere. Il partito di Via dell’Umiltà ci punta molto e sul tavolo della mediazione con le forze della maggioranza, mette da subito la disponibilità a modificare la legge elettorale con il doppio turno, così come il Pd va sollecitando da dopo il voto amministrativo. Un ragionevole compromesso che in entrambi i casi (elezione diretta del capo dello Stato e sistema elettorale) tiene insieme un principio sul quale sono tutti d’accordo: i cittadini scelgono.
Alfano insiste molto sulla autenticità della proposta pidiellina, finalizzata a innovare l’architettura dello Stato garantendo governabilità. In tutto questo, ci sono i contenuti, perfino la road map e la tattica. La tattica è intestarsi una riforma della quale si parla da decenni, farne una battaglia sulla quale riconquistare il consenso degli elettori di centrodestra delusi e distanti dal Pdl. E il campo delle riforme è il terreno fertile sul quale la politica può e deve tornare a giocare un ruolo da protagonista, nonostante la crisi, nonostante il governo dei tecnici. Raggiungere un obiettivo inseguito da almeno vent’anni, è una battaglia politica “da fare e da vincere”. Battaglia sulla quale ieri è arrivato il sì di Fini, mentre il Pd si mostra (per ora) freddino anche se da alcuni senatori democrat arriva l’invito per Bersani “a vedere le carte”, senza chiudere preventivamente. Casini, tanto per cambiare, pianta i paletti (prima la legge elettorale).
Le ‘carte’ ora ci sono, la tabella di marcia idem. Ed è chiaro che il presupposto per trasformare la proposta in legge è che il governo Monti resti in piedi fino alla scadenza naturale della legislatura. Martedì lo ha confermato Bersani smentendo di fatto ‘l’andiamo a votare a ottobre’ di Fassina. Ieri la stessa conferma è arrivata da Alfano, nonostante il pressing sulla presa di distanza dall’esecutivo rilanciato dai falchi sul segretario e sul Cav.
Ma cosa dicono i cinque emendamenti? Il primo riguarda le modifiche sull’elezione del capo dello Stato e i criteri per l’eleggibilità (si vanno a modificare gli articoli 83 e 84 della Costituzione). Si legge nel primo emendamento: “Il Presidente della Repubblica e’ il Capo dello Stato, è eletto a suffragio universale e diretto. Sono elettori tutti i cittadini che hanno compiuto la maggiore età”. Le modifiche all’articolo 84 stabiliscono che può essere eletto “ogni cittadino che abbia compiuto 40 anni e goda dei diritti civili e politici. L’ufficio è incompatibile con qualsiasi altra carica pubblica o privata e per questo nella proposta vengono dettagliati i casi di ineleggibilità e incompatibilità.
Il secondo emendamento va a incidere sugli articoli 85 e 86. Tra le novità c’è la durata del mandato: cinque anni, con la possibilità di essere rieletto una sola volta. Quanto alle candidature, queste sono presentate da un “gruppo parlamentare, ovvero da 200mila elettori, o da deputati e senatori, da membri del Parlamento europeo, da consiglieri e presidenti di giunte regionali e da sindaci”. Il terzo è agli articoli 87,88 e 89. Negli ultimi due, sono contenute le funzioni e i ruoli del presidente della Repubblica che “può, sentiti il primo ministro e i loro presidenti, sciogliere le Camere o anche una sola di esse”. Ma non nel primo anno che segue le elezioni.
Con il quarto emendamento si introduce la possibilità per il capo dello Stato di “presiedere, salvo delega al primo ministro, il Consiglio dei ministri”. Inoltre il presidente del Consiglio diventa il primo ministro. Con il quinto emendamento il Pdl propone di assegnare a un quarto dei componenti di una Camera la facoltà di sollevare la “questione di legittimità costituzionale” delle norme approvate dal Parlamento entro trenta giorni dall’entrata in vigore.
Il Pdl mette nero su bianco il calendario di riforme costituzionali e legge elettorale: fine giugno. La sfida è al Pd: sostenga la proposta insieme a tutte quelle forze che si proclamano riformatrici. Il momento è adesso, viste le particolari condizioni (o per dirla alla Monti la ‘strana maggioranza) nel tempo del governo tecnico. Alfano insiste sulla necessità di cogliere l’occasione ma chiarisce anche che l’elezione diretta del presidente della Repubblica non è una mossa per bloccare le altre riforme, legge elettorale compresa. Perché anche senza semipresidenzialismo – assicura il segretario – il Pdl concorrerà per parte sua, al completamente del pacchetto di riforme istituzionali già in discussione al Senato (e nel quale si innesta la proposta sul semipresidenzialismo). E il Cav.? Lascia ad Alfano il suo compito e nell’inner circle berlusconiano si conferma l’intenzione dell’ex premier di non mettere nella partita un’ipotetica candidatura al Colle della quale si è molto parlato nei giorni scorsi. Dunque, nel 2013 nè candidato a Palazzo Chigi, né candidato al Colle.
Se i tempi per rivedere una parte della Costituzione ci sono – come sostiene il Pdl- , restano però molto risicati. Per questo Alfano indica una dead-line entro il 30 giugno, dopodiché sarà chiaro il nome e il cognome di chi affossa le riforme per motivi di parte. Avverte: “Se entro il 20 o 30 giugno il pacchetto non esce dal Senato le riforme istituzionali non passano più, con o senza presidenzialismo”. In Aula la discussione sul semipresidenzialismo è calendarizzata al 14 giugno e il Pdl conta sul sostegno dei parlamentari di Fli dopo il via libera arrivato da Fini e su quello della Lega. Ma c’è un’altra data che Alfano fissa nella stessa cornice temporale: entro il terzo venerdì dalla direzione nazionale del Pd (dopodomani) “propongo a Bersani un accordo” sulla revisione del sistema di voto.
In attesa di risposta, a questo punto è chiaro che il vero nodo è la volontà politica di aprire quella che Gaetano Quagliariello definisce ( e auspica) “una nuova stagione repubblicana”. Si gioca a carte scoperte. Finalmente.