Alfano corregge il Cav: lui il leader nel 2013, dopo primarie per la premiership

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Alfano corregge il Cav: lui il leader nel 2013, dopo primarie per la premiership

08 Luglio 2011

Nel fortino dove Fini lanciò l’anatema contro il Cav., Alfano avvia la ripartenza del Pdl. Date e riferimenti, puramente voluti. Il partito è a Mirabello, non c’è solo lo stato maggiore – ministri, sottosegretari, vertici parlamentari, deputati e senatori – c’è soprattutto il popolo dei militanti a consacrare tra slogan e standing ovation la prima uscita pubblica del neo-segretario. La giornata politica segna quaranta gradi all’ombra, con la vicenda Milanese che sfiora Tremonti e il faccia a faccia del Prof. col Cav. che sancisce una ‘tregua’ (anche per mandare un segnale forte e chiaro ai mercati), ma non la pace. Per quella si vedrà la prossima settimana in Parlamento sulla manovra che lo stesso Alfano dice di voler correggere su alcune voci, dal conto titoli al bollo per le auto, fermo restando i parametri generali di riferimento.  

 Nella ‘piazza’ storica della destra del centrodestra (con un Gasparri e un La Russa gongolanti per la mega-sala strapiena di gente) Alfano traccia la rotta, indica la strada in una giornata politicamente non ‘liscia’. Intanto deve vedersela con l’intervista del Cav. a Repubblica nella quale annuncia che nel 2013 non si ricandida e al suo posto indica proprio il giovane Guardasigilli (lascerà via Arenula la prossima settimana, dichiara ai microfoni) per la corsa a Palazzo Chigi. Sfodera tutta la proverbiale arte oratoria per mandare messaggi, non solo al premier, ma anche a chi come Formigoni e Alemanno dopo quell’intervista sono tornati a chiedere le primarie per la premiership.

Nelle parole del Cav. Alfano non legge un addio quanto piuttosto la conferma della ‘generosità’ del fondatore del Pdl che nella fase – fisiologica – di transizione, investe sui giovani affidandogli incarichi di rilievo e direttamente nella stanza dei bottoni. Segno evidente della vitalità del Pdl che si appresta alla nuova fase, segno evidente che c’è una classe politica all’altezza del compito che è pure la sfida. No, Berlusconi nel 2013 resterà al suo posto: Alfano ne è convinto come è sicuro del fatto che “nel 2013 noi avremo con gioia ancora una volta bisogno della leadership di Berlusconi per vincere le politiche”.

Per il dopo, c’è un’unica via: “Il candidato alla premiership verrà scelto dai militanti con il metodo delle primarie. Non esiste un’altra leadership al di là di Berlusconi che non si consacri passando dalla gente”. Un modo da un lato per non caricarsi sulle spalle un altro fardello oltre a quello che si è assunto a tempo pieno rinunciando al mestiere di ministro; dall’altro per dimostrare la disponibilità all’ascolto e alla comprensione (Formigoni e Alemanno, appunto) delle richieste di tutte le componenti su nuove regole e riorganizzazione. Accoglierle significa anche ‘sterilizzarne’ la vis polemica e ricondurre il tutto nell’alveo del dibattito interno (quello costruttivo). Su questo Alfano appare particolarmente bravo e non è casuale l’aver escluso un automatismo tra segretario del partito e candidato premier. Il metodo delle primarie varrà pure per i dirigenti locali in base al concetto che “ogni militante dovrà scegliere il dirigente della sezione territoriale”. Ovazione, platea in piedi.  

Parole-chiave: meritocrazia, sacrificio che viene prima del successo, onestà, garantismo, regole e sanzioni. Ci cuce sopra concetti del tipo “non siamo né una caserma, né il caos. Siamo un partito serio che discute” che infiammano la platea. Parole che la base voleva risentire e che a Mirabello hanno risuonato forte e chiaro, incrociando con lo slogan della manifestazione: Idee e militanza. Insomma, la sensazione è che Alfano stia lavorando sodo per riconnettere il partito con la gente, col territorio, con chi ha scelto il Pdl “non per fare la gara ai congressi” ma per aderire a valori quali vita (che nessun giudice e nessun parlamento può decidere di togliere), famiglia, sussidarietà, Occidente, centralità della persona, più società e meno Stato, scuola pubblica ma anche scuola libera. E onestà, non nel senso di una categoria collettiva perché “l’onestà è la precondizione” per fare politica. L’altro ingrediente fondamentale è la capacità, ma la “bravura è tale nel momento in cui si opera rimanendo onesti. Cioè quando si mette le mani dentro al forno e si tirano fuori dimostrando di non essersele sporcate con la farina”. Standing ovation.

Passaggio che porta gli intervistatori, Augusto Minzolini (direttore del Tg1) e Francesco Verderami (Corriere della Sera) ad aprire il dossier Papa e Milanese, con un riferimento pure a Tremonti. Alfano non si sottrae e tuttavia non si sbilancia. Spiega che ci sarà una posizione del partito solo dopo aver esaminato tutte le carte, compito affidato ai parlamentari che stanno nella Giunta per le autorizzazioni a procedere “perché con la libertà delle persone non si scherza”. Poi aggiunge che di perseguitati dalla giustizia c’è solo Berlusconi “ma non tutti lo sono” ed è un modo per riaffermare il principio garantista del Pdl che si esprime ‘caso per caso’ e solo dopo aver valutato bene gli atti, “noi non prendiamo a scatola chiusa le tesi accusatorie”. E su Tremonti chiosa: “Sono convinto che sia una persona perbene”.

C’è un altro passaggio significativo nel ragionamento del segretario politico e in un certo senso introduce una novità: l’approccio più ragionato, meno urlato nei confronti della magistratura. Lo si capisce quando dice che “noi non aggrediamo le inchieste”, ma è altrettanto fermo quando parlando di riforme ricorda quella della giustizia civile e la riforma costituzionale della giustizia, presentata a marzo “e che seguirò anche nel mio nuovo ruolo politico” come architravi di una modernizzazione del sistema giudiziario nel suo complesso che non ha pari nei governi precedenti.

Si dovrà andare avanti su questa strada – incalza – con l’obiettivo di arrivare ad uno schema finale nel quale “il giudice sta sopra e sotto di lui in posizione di assoluta parità stanno il pm e l’avvocato della difesa. Così come si dovrà arrivare a stabilire che anche un magistrato che sbaglia deve pagare. La legge è uguale per tutti e vale anche per loro”. Un trionfo.

Il botta e risposta nella sequenza delle domande scivola poi al rapporto con la Lega e al cantiere dei moderati da costruire riallacciando il filo con Casini. Anche qui Alfano non fa sbavature: elogia l’alleato per la lealtà a Berlusconi e per il fatto di aver sostenuto con convinzione provvedimenti e riforme proposti dal Pdl. Spende parole di miele per Bossi, leader “dell’unico fronte politico” in grado di garantire stabilità al Paese, ma lo stesso riguardo lo usa per Casini rilanciando l’offensiva diplomatica verso i centristi. “Le nostre strade non sono destinate a restare in eterno separate. Dobbiamo fare un gran lavoro nei prossimi due anni per riunire tutti i moderati in un unico partito”, vaticina Alfano, seppure dalla platea si leva qualche fischio e qualche “buuu”.  

Veri e propri boati, invece, quando si tocca il tasto di Fini e Fli che Alfano – anche qui diplomaticamente e non chiudendo del tutto la porta – non considera argomento “da liquidare con una battuta”. Quanto alle ‘colombe’ finiane Urso e Ronchi che a Mirabello ci sono, ne apprezza l’apertura e la disponibilità a lavorare alla “costituente popolare”. Non è un invito a saltare il fosso, tantomeno un pressing serrato, piuttosto un percorso da fare insieme “senza chiedere nulla in cambio”. Della serie: lasciamo maturare le cose, se devono maturare.

Alfano sa come parlare alla gente. Cerca e incassa l’applauso quando boccia la sinistra che dietro la “parola magica del governo istituzionale” nascondeva “una realtà ben diversa che si chiama ribaltone”. O ancora quando ribadisce il concetto di fondo sulla riforma della legge elettorale, cestinando senza indugio quei “tanti disegni che hanno il solo scopo di togliere ai cittadini la grande conquista di questi anni, peraltro introdotta grazie a Berlusconi: la possibilità di sapere prima chi è il candidato premier e quindi di poterlo scegliere liberamente”.

Barra dritta dunque sullo schema del bipolarismo, nessun passo indietro. Così come sulle prospettive del governo: “Siamo stati eletti democraticamente nel 2008 e il nostro tempo finisce nel 2013”. Cartolina da Mirabello per Roma, dopo la ‘tregua’ firmata da Berlusconi e Tremonti.