Alfano spinge sul decreto ma nel Pdl la riforma Fornero non convince tutti
23 Marzo 2012
Monti ri-chiude la partita sull’articolo 18. Lo ha certificato ieri dopo l’ultimo tavolo con le parti sociali e il Cdm lo farà oggi approvando il pacchetto complessivo della riforma ‘salvo intese’. Formula di rito per dire che qualche piccolo margine c’è ancora ma il passaggio è strettissimo. La Camusso ha provato a riaprirla la partita ma senza esiti eclatanti (in realtà c’è riuscita benissimo dentro il Pd) nonostante il ‘soccorso’ in zona Cesarini di Bonanni. L’unico punto segnato è l’impegno del governo a evitare che i licenziamenti per motivi economici possano nascondere quelli discriminatori. Resta poi da sciogliere il nodo sullo strumento legislativo col quale il governo poterà la riforma in Parlamento: forse oggi si saprà se con un decreto legge sul quale spinge molto il Pdl, oppure se con la legge delega chiesta dal Pd. E che il clima politico sia incandescente lo testimoniano le scintille a distanza tra Alfano e Bersani.
C’è poi da chiarire la questione dell’ipotetica estensione dell’articolo 18 agli statali sulla quale il governo in questi giorni ha pasticciato, suscitando un vespaio di polemiche. Prima il ministro della Funzione Pubblica Patroni Griffi annuncia che sì, le nuove regole si applicheranno anche ai dipendenti pubblici (3,5 milioni), poi fa un precipitoso dietrofront, col ministero del Lavoro che assicura il contrario. Ieri Fornero c’è tornata per dire che la responsabilità della funzione pubblica non è nel suo mandato ma in quello del collega Patroni Griffi e tuttavia “questo non vuol dire che non interverremo anche sulla funzione pubblica. Il governo valuterà cosa deve essere fatto”. Insomma, né si né no. O forse, non ancora.
Il governo tira dritto sulla riforma e il controverso articolo 18. Elsa Fornero nella conferenza stampa serale tiene il punto: “Nessuna marcia indietro. Non lo aboliamo, distinguiamo le fattispecie”. Conferma: nei casi di licenziamento per motivi economici, se giudicati illegittimi, ci sarà solo l’indennizzo, mentre in caso di licenziamento per ragioni disciplinari sarà un giudice a decidere tra reintegro e indennizzo. Il passo avanti sta nell’impegno dell’esecutivo a riformulare la norma in modo che si evitino “abusi”: in sostanza che si ricorra a motivi economici per mascherare quelli discriminatori. Ciò che non cambia è la formula che vige, ovvero il reintegro per licenziamenti discriminatori.
In parlamento il clima è rovente. Se il Pdl spinge sul decreto legge per affondare (politicamente) il coltello nella piaga del Pd e Bersani che a sua volta deve parare da un lato le divisioni interne e dall’altro il ‘fuoco amico’ della Cgil e della sinistra vendolian-dipietresca, non sfugge che pure all’interno del partito di via dell’Umiltà non tutti sono disposti a prendere per oro colato ciò che il governo porterà in Aula. Tra le voci critiche si leva quella di Giuliano Cazzola vicepresidente della commissione Lavoro, uno dei massimi esperti in materia. Che invita il Pdl a non cadere “nella trappola dell’articolo 18 a fronte di una riforma del mercato del lavoro il cui vero difetto sta nella mancanza di equilibrio tra la profonda revisione dei rapporti flessibili e la parziale modifica della disciplina dei licenziamenti individuali. Nella proposta del governo una modesta riforma dell’articolo 18 è accompagnata non da un contrasto della flessibilità ”cattiva” ma da una pregiudiziale negativa, costellata di ostacoli normativi e amministrativi, nei confronti di tutta la flessibilità regolata dalla legge Biagi, ben oltre la doverosa lotta agli abusi”.
La preoccupazione del parlamentare Pdl è quella di dover tenere conto “anche dei problemi concreti del mondo dell’impresa, gravemente penalizzato da questa riforma e lasciare i contorcimenti ideologici alla sinistra. Anche perchè un mercato del lavoro complessivamente più rigido non gioverebbe all’occupazione”. Per Cazzola, infatti, “è illusorio ritenere che le aziende assumeranno a tempo indeterminato per effetto di vincoli normativi vessatori. Non esiste una scorciatoia normativa alla stabilità. La tutela dei rapporti flessibili avrebbe dovuto poggiare su di un nuovo sistema di ammortizzatori sociali, per il quale non vi sono adesso adeguate risorse”.
Tuttavia, l’esponente pidiellino riconosce a Monti il coraggio di scelte complesse e difficili in un momento come l’attuale. Una posizione che, ricorda, richiama quella che assunse Craxi nel 1984 a proposito della vicenda della scala mobile e da Amato nel 1992 “quando il Paese fu salvato dalla bancarotta. Anche in quelle occasioni la Cgil e la sinistra si schierarono dalla parte sbagliata”.
E che nel pacchetto di provvedimenti varati dall’esecutivo vi siano ‘molte cose’ da verificare lo sostiene con decisione anche Fabrizio Cicchitto, capogruppo del Pdl a Montecitorio. A cominciare dalla flessibilità, questione sulla quale richiama le “obiezioni" avanzate proprio da Cazzola che “non possono essere liquidate con una ‘scrollata di spalle’, visto che dubbi analoghi stanno emergendo anche dal versante Confindustria. Non potremo mai accettare soluzioni mistificate sul terreno della flessibilità in entrata che non rappresentino reali innovazioni”.
Altro aspetto: il tessuto delle piccole aziende. “Sarebbe assolutamente inaccettabile penalizzare le piccole imprese organizzate in Rete Italia, i commercianti e gli artigiani per quanto attiene la tematica economico-finanziaria. Di conseguenza, fermo rimanendo il nostro atteggiamento costruttivo, ribadiamo che operazioni mediatiche che danno tutto per combinato e risolto non fanno affatto venire meno la nostra posizione rigorosa su irrinunciabili questioni di merito che riguardano sia l’articolo 18 sia la riforma del mercato del lavoro. In sostanza è bene definire tutto in modo preciso prima di portare il provvedimento in parlamento”.
Quanto basta per capire che sia Pdl che Pd – per motivi diversi – non sono disposti a fare i notai del governo su una partita così delicata, che pesa e peserà anche in termini di consenso politico soprattutto con le amministrative alle porte. C’è un timer però col quale la ‘strana maggioranza’ di Monti dovrà fare i conti. Fornero lo ha fatto capire: non si può stare sospesi all’infinito, come a dire che l’Europa e i mercati non aspettano a lungo. Altrimenti, chiosa, “mandateci a casa”.