Alfano vs Casini, convergenze parallele nell’eterna (e decisiva) sfida al centro
22 Aprile 2012
Caccia grossa al centro. A e C aprono la partita – decisiva come non mai – per la golden share dei moderati. Gli annunci roboanti delle ultime 72 ore servono per oliare i motori di una macchina elettorale già in movimento. Non tanto per le amministrative, quanto per le politiche. Convergenze parallele. Al 2013 guardano già anche Maroni (da ieri ‘benedetto’ leader dal Senatur) e Di Pietro. Anche qui le convergenze parallele mirano ai voti di un elettorato nordista deluso, sul quale ha messo gli occhi il capo dell’Idv.
Strano start up a dodici mesi dalle politiche, con in più gli effetti del vento francese che potrebbe spingere all’Eliseo il candidato socialista Hollande e spazzare via l’asse di ferro con la Merkel.
Casini ha una gran fretta. In due giorni ha azzerato i vertici Udc e si è dimesso da capogruppo alla Camera; eppure con Fini e Rutelli (in particolare col primo) le cose non sono chiare del tutto perché i futuristi per ora non intendono sciogliersi in quello che il leader centrista ancora non sa come si chiamerà, ma già definisce ‘casa’ dei moderati. Fini, evidentemente non si fida perché non vuole rischiare un ‘predellino 2’.
Ministri tecnici montiani (Passera e Riccardi già in pole position), politici, magari pure i malpancisti pisaniani, nel disegno di Casini: tutti dentro pur di correre a piazzare per primi la bandierina nel campo dei voti da sempre più conteso. Quello ancora decisivo nonostante, da un lato la parentesi (sarà davvero così?) dei tecnocrati a Palazzo Chigi, dall’altro l’onda lunga dell’antipolitica ‘grillina’ nelle piazze.
Le grandi manovre sono iniziate, tra un comizio e una convention per sostenere i candidati sindaco al voto tra due settimane. Ma se Casini ha fretta, Alfano non è disposto a inseguire, semmai a sorpassare. Lo fa centellinando le novità, dispensando pillole di novità, una al giorno. Per cominciare, un’entrèe sulla ‘più grande novità della politica italiana’ che annuncerà col Cav. dopo le amministrative; poi la battaglia anti-tasse in parlamento per frenare l’accanimento di Monti&C. sulla casa che, andando via di questo passo, rischia di mettere fuori casa le famiglie e fuori azienda gli imprenditori. Il Pdl vuol essere il “motore del cambiamento”, in una fase in cui il governo tecnico è in difficoltà e la politica prova a riprendersi il suo posto. La parola d’ordine è rinnovamento e sia Casini che Alfano la declinano come faro dell’azione e dell’offerta politica. Ma a ben guardare, tra i due c’è una differenza sostanziale, più sui fatti che sulle parole.
Il leader Udc (da due giorni ex) non può rinnegare il suo forte profilo montiano che peraltro si è cucito addosso già prima della caduta del governo Berlusconi. Se nella ‘luna di miele’ dei Prof. col paese ha incassato qualche vantaggio (elettorale), adesso che la delega fiscale impone nuove tasse, la riforma del lavoro nuovo rigore e sulla crescita non c’è granchè alle viste, quel montismo senza se e senza ma rischia di trasformarsi in un boomerang per il ‘giovane’ Perferdinando che invoca il cambiamento con un’operazione che per il momento sa molto di restayling e che, per paradosso, contiene in sé una forte continuità col governo tecnico visto che ministri tecnici sono già – a suo dire – in fila per aderire al progetto neo-centrista.
Alfano, invece, ha margini di manovra più ampi. Soprattutto adesso che è tornata in auge l’idea di uno show-down governativo in autunno e lo scenario non sembra essere più così stabile. Ed è su questo che il leader del Pdl gioca le sue carte. Guida il partito che in Parlamento ha il numero maggiore di seggi (e dunque di voti) e nonostante il sostegno dichiarato al governo, appare chiaro come da qui in poi, intenda condizionarne l’agenda infilandoci molti più paletti di prima. Non è un caso se Fabrizio Cicchitto al Foglio (sabato) rivela che l’idea del voto anticipato per i pidiellini è e resta sul campo, considerata la linea eccessivamente rigorista dell’esecutivo e gli scarsi segnali di crescita.
Insomma, il Pdl che già ha pagato il prezzo più alto per fare strada a Monti e anche per questo sconta sondaggi tutt’altro che favorevoli, non vuole limitarsi a schiacciare il bottone in Aula, bensì a riprendersi un ruolo e a consolidarlo, specie nel Paese. Lo si è visto con l’Imu dove il veto pidiellino ha prodotto il rateizzo dell’odiosa imposta e l’impegno di Palazzo Chigi ad applicarla solo per quest’anno. E sul fronte tasse, Alfano proprio ieri la rilanciato la battaglia con un categorico: “Basta tasse, non se ne può più”. Lo si è visto sul terreno dei valori non negoziabili (vita, famiglia, sussidiarietà, welfare) che nel convegno di Magna Carta, proprio il segretario del Pdl ha rimesso al centro del ‘manifesto’ del nuovo centrodestra, con una postilla altrettanto significativa nei toni e nei contenuti: dobbiamo essere il partito che non lascia indietro nessuno, che sta con gli ultimi, con i più deboli, è la parola d’ordine. In altre parole, un volto caritatevole della politica che Alfano vuole mostrare e inserire tra gli obiettivi del prossimo governo, se sarà targato centrodestra.
L’altra novità su cui il segretario del Pdl conduce la sfida nel campo dei moderati riguarda il finanziamento pubblico. Alfano lo archivia e assicura che il suo partito non solo non vuole i soldi pubblici ma intende mettere un tetto a quelli dei privati per evitare che chi dà più soldi diventi il proprietario. Un altro mattone sul quale costruisce la prospettiva di governo chiamando a raccolta proprio i moderati: “Se i moderati vorranno avere un destino offriremo loro una prospettiva di governo”. E tanto per sfatare il sillogismo su ABC, Cicchitto avverte: fare riforme insieme in parlamento non significa un bel nulla. Come a dire: niente grandi coalizioni, nel 2013 ognuno per sé.
Nel frullatore della politica, ci sono altre convergenze parallele interessanti. La Lega del dopo-Bossi è nelle mani di Maroni come il patto di Besozzo ha messo agli atti. Il Bobo-con-la-ramazza investe (politicamente) su due parole: pulizia e orgoglio. Se la seconda rientra nel dna dell’indentitarismo padano che probabilmente neppure i gioielli e i diamanti di Belsito, gli scivoloni dei figli di Bossi o la casa-ufficio di Calderoli pagata coi soldi del partito riusciranno a scalfire, è sul primo termine che dovrà vedersela con un insolito quanto agguerrito competitor. Di Pietro punta sul Nord, marcia sugli errori leghisti, piomba sul prato di Pontida (per ora senza il suo trattore) mettendo zizzania sul concetto di trasparenza. Non è un caso che i suoi uomini (da Donadi in giù) negli ultimi giorni in ogni talk tv che si rispetti, si scaglino contro la Lega evidenziando la contraddizione di un partito che nel ’93 sventolava in parlamento il cappio contro i politici corrotti e oggi si ritrova a fare i conti con una vicenda che ha dell’incredibile – almeno stando alle carte dell’inchiesta – e che peraltro ha già spazzato via dai piani alti di via Bellerio mezza classe dirigente, tra dimissioni ed espulsioni.
Maroni vs Di Pietro; Alfano vs Casini: convergenze parallele per la battaglia finale. In Italia ma forse anche in Europa.