Alfano vuole da Monti meno tasse, Bersani più lavoro. L’unico ok  è sulla riforma già varata

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Alfano vuole da Monti meno tasse, Bersani più lavoro. L’unico ok è sulla riforma già varata

17 Aprile 2012

Più che un faccia a faccia, un vertice di maggioranza. Per dare i voti ai Prof. e per vedere di far decollare la ‘fase due’, alias crescita. ABC sono arrivati a Palazzo Chigi con un pacchetto di proposte (o di paletti) sui quali tengono il punto: dalla riduzione della pressione fiscale, misure per famiglie e imprese (Alfano e Casini) ad azioni per ‘rimettere in giro un po’ di lavoro’ (Bersani). Non solo Monti, ma mezzo governo (coi ministri di ‘peso’ da Fornero a Passera, da Grilli, Severino a Giarda a Catricalà e Moavero). Tutti al tavolo delle trattive e della mediazione. Che comincia in salita perché il Pdl nel menù ci infila il ‘Beauty Contest’ (l’assegnazione gratuita delle frequenze tv)  che il governo ha cancellato e che il partito di via dell’Umiltà non ha gradito. Si dice di un Cav. particolarmente irritato perché – è il ragionamento – sarebbe stato violato un patto tra lui e premier. I sospetti si concentrano sul ministro dello Sviluppo economico, ‘reo’ di aver stretto un accordo direttamente con Bersani.

A Montecitorio il Pdl vota compatto contro l’emendamento governativo al dl fiscale. Con l’ex ministro Romani che accusa Passera di aver cambiato il testo per soddisfare il Pd. Bersani ringrazia, ma Monti si ritrova per le mani un’altra gatta da pelare che determina un nuovo attrito col partito di maggioranza relativa. Alfano pone la questione e Berlusconi rincarerà la dose domani, nella colazione già programmata con il premier. Intanto però, la questione rischia di complicare un vertice che va avanti fino a tarda notte (oltre quattro ore), malgrado le intenzioni di Monti concentrato – tra una portata e l’altra del menù – a rasserenare gli animi e gli umori di quella “strana maggioranza” (suo il copyright) superando veti incrociati e rivendicazioni per rimettere il moto il paese, restituire alla politica il suo ruolo attivo e tentare di spazzare via il vento – forte – dell’antipolitica.

A cominciare da crescita e occupazione. Sul primo punto convergono con particolare attenzione Alfano e Casini. Il leader del Pdl insiste sulla maggiore flessibilità in entrata, tema per il quale il governo sembra disposto a fare aperture (venendo incontro anche ai desiderata di Confindustria), e con lui Casini. Sull’articolo 18, invece, il faticoso compromesso raggiunto dovrebbe restare tale e quale. Se sul ddl lavoro l’intesa ci sarà – confermano alcune fonti parlamentari in contatto con i leader politici a Palazzo Chigi -, su altri dossier le posizioni tra governo e partiti di maggioranza non collimano.  Il punto vero è come rilanciare crescita e occupazione perché di risorse ce ne sono poche e dopo l’analisi del Fmi secondo cui l’Italia non raggiungerà il pareggio di bilancio il prossimo anno, non è disposto ad allentare i cordoni della borsa.

Del resto lo si era già capito lunedì quando in Cdm è entrato e subito dopo è uscito (alias cassato) il fondo destinato alla riduzione delle tasse coi proventi della lotta all’evasione. Ieri, tuttavia, a dispetto delle ‘cassandre’ internazionali, in Senato è passata con una maggioranza larghissima, la norma che mette in Costituzione il pareggio di bilancio e che dunque impegna il governo a mantenere l’impegno con rigore.  A questo si aggiunge il fatto che sulla crescita, Pdl e Pd hanno ricette diverse, che Monti dovrà trasformare in una sintesi condivisa. Alfano punta i piedi contro l’eventualità di un aumento dell’Iva a settembre (dal 21 al 23 per cento) e vuole sgravi fiscali per famiglie e imprese. Il leader democrat, invece, torna alla carica con l’idea di una patrimoniale.

Quattro ore di discussione, poi un via libera di massima al documento illustrato da Passera che per quel poco che trapela da Palazzo Chigi, dovrebbe prevedere il decreto sulla revisione degli incentivi, l’accordo con le banche per il recupero dei crediti delle amministrazioni e il rilancio delle infrastrutture. Se un passo avanti è stato segnato, siamo ancora ai titoli.

Il premier chiede collaborazione, ma i partiti che di questi tempi devono difendersi dalla graticola dell’antipolitica e della demagogia un tanto al chilo, sono poco inclini a passi indietro o di lato, specie alla vigilia della tornata elettorale delle amministrative. E che il clima sia ‘pesante’ lo dimostrano due dichiarazioni politicamente agli antipodi trattandosi di esponenti di Pdl e Pd, eppure significativamente speculari.

Da un lato, il monito dell’ex colonnello di An Altero Matteoli che ad ABC dice: “Anziché essere d’accordo per tenere insieme un governo come il governo Monti, sarebbe opportuno che trovassero un accordo per salvare la politica”. Dall’altro Romano Prodi che tuona contro l’intesa tripartisan  (Pdl-Pdl-Udc) sulla legge elettorale: ripristina “la prospettiva dell’ingovernabilità della prima repubblica, resa ancor più probabile dalla moltiplicazione e dall’ulteriore frammentazione dei partiti”. Vendola e Di Pietro esultano, gelo dal Pd.

Chissà se, ormai a notte fonda, sarà andata meglio a Palazzo Chigi.