Alitalia, Berlusconi ha semplicemente difeso il mercato
25 Marzo 2008
Finalmente. Ci avevano raccontato la favola della “fine
delle ideologie”, anzi, con ancor più enfasi, di sapore spengleriano, ci
avevano descritto minuziosamente la saga del “tramonto delle ideologie”, con
tanto di cartello “Off limits”. Tutto celebrato con il fasto dei grandi trionfi
e con bulimia retorica.
La sinistra che Tremonti definisce “mercatista”, quella
“post-comunista”, ha partecipato con grande ardore a questo spettacolo
postmoderno e ci ha insegnato che essa, sì, aveva sempre sbagliato, praticamente
su tutto, dal trionfo del “bel sol dell’avvenire” al compromesso storico, ma
oggi era in grado di salire in cattedra per raccontare al mondo la Verità: il marxismo non è
mai morto. Esso vive ancora. Ha preso l’accento della City di Londra,
soprattutto dopo l’exploit mercatista della “merchant bank a Palazzo Chigi”,
opera del grande post-comunista D’Alema, e oggi è in grado di rivisitare
l’intero percorso del liberismo. Dello striminzito liberismo destrorso. Perché
il liberismo è di sinistra.
Dunque, loro, pur avendo perso, hanno oggi ragione,
perché il liberismo che la globalizzazione pretende di imporre a tutti, senza
più nessuna distinzione (egualitarismo? O livellamento antropologico?), è già
qui in mezzo a noi: sono “loro” i liberisti. E sono liberisti perché
globalizzati, punto primo, e hanno ragione perché “di sinistra”, punto secondo,
prego prendere nota minuziosamente.
Ricolfi ha scritto un bel libro su questo
schematismo ideologico, appunto: ideologico, della sinistra, secondo il quale
essa ha oggi sempre ragione, anche quando, ieri, aveva palesemente torto. Le
cose funzionano nel mondo della dialettica hegelo-marxista. Non importa di che
colore sia il gatto, l’importante è che ammazzi i topi: Lenin docet, ieri come
oggi. Sempre.
Ergo, questi esimi e colti neo-liberisti di sinistra sono anche
oggi leninisti e se ne vantano. E perché se ne vantano? Semplice: perché, a
destra, nessuno osa dichiarare guerra al trionfo di questo mefitico nichilismo
che, in molti, in troppi, hanno definito ad abundantiam “tramonto delle
ideologie”.
L’alibi per non pensare più la politica, perché, si sa, se aspiri
ad un progetto politico, come minimo sei un costruttivista, ed Hayek, il
principe del liberalismo, ti darà bacchettate dall’oltretomba finché la mano
destra, quella sbagliata, non ti cadrà di netto. E rimarrà soltanto la
sinistra. Che ieri era la mano maledetta. Parola di Cacciari. Lo scrisse in un
volume dei primi anni Ottanta del secolo ormai alle nostre spalle, il “secolo
breve”, in realtà lunghissimo, con varie protesi nel presente, un saggio
collettaneo dedicato al tema dei temi: cos’è la sinistra? E il dòtto sindaco di
Venezia si sbilanciò non poco su codesto ammennicolo ideologico, fino a
screditare la sinistra perché sinisteritas è alterazione della retta via e,
dunque, avversione agli schemi. Ma, alla fine, oplà!, redenzione in zona
Cesarini: la sovversione degli schemi e, in fondo, la pelle rivoluzionaria
della sinistra, così “sinistra” (da far paura anche a se stessa), è
maledettamente bella e sempre attuale, non finisce mai come l’amore eterno
degli stilnovisti. Questi uomini maledettamente “di sinistra” sono certamente
“sinistri” (cioè, da evitare), ma insieme, come negarlo?, affascinanti, come
Lenin e, in fondo, Pol Pot. Dunque, la sinistra è certamente sinisteritas, ma è
per questo anche eternità pura, ideologia che non tramonta e può
legittimamente, essa soltanto s’intende, assumere nuovi volti, prendere nuove
pose, attingere a nuovi pozzi, andrà sempre bene. Perché di sinistra si muore
per poi, come l’Araba Fenice, rinascere. Infatti Cacciari, in un’intervista
sbalorditiva, ha dichiarato, senza colpo ferire: io ormai sono così liberale
che proprio non riesco a concepire tutte queste pregiudiziali politicistiche e
statalistiche. Liberal-liberista “ma anche” leninista: Veltroni aveva già
capito tutto. Le fonti sono le fonti e chi ha studiato sa dove andare a pescare
il metodo e i contenuti. Conclusione: i mercatisti-liberisti di oggi sono i
leninisti non di ieri, ma di oggi, perché, proprio perché leninisti, si
dichiarano oggi liberisti. Ecco perché Tremonti li bolla come “mercatisti”. Per
la stessa ragione per la quale, ieri, erano materialisti storici.
Ebbene,
tutte queste cose i liberisti proprio non le intendono. Un limite gigantesco
che, per paura di travalicare la linea Maginot della resistenza al
“colbertismo”, “neocolbertismo” e affini – che poi, per loro, è la bestia
infernale di sempre: il protezionismo – non prendono nella dovuta
considerazione. Rifiutandosi di conoscere la realtà per quella che è, diventano
ideologi di qualcosa a cui non sanno neanche dare un nome.
Esempio prezioso: il
caso Alitalia. E’ del tutto evidente che Air France non stia facendo
un’operazione di mercato, ma un saccheggio manu militari con tanto di leva
pubblica, transalpina, dunque di origine ENA, Ecole Nazionale de
Administration, dunque roba forte, che fa male. Siamo nel pieno del
colbertismo, neanche troppo riveduto e corretto: uno Stato, quello francese,
che per ora non si pronuncia, ma ha mandato avanti Spinetta a fare le sue veci,
che impone ad un altro Stato, azionista di maggioranza della sua compagnia di
bandiera, di non usare i diritti aeroportuali, che prevedono accordi con Paesi
comunitari ed extracomunitari (dunque, viene fuori anche una questione in punta
di diritto internazionale), autoescludendosi, così, dal mercato e dal consesso
internazionale.
In sostanza, autocertificandosi colonia o protettorato francese
e drop out rispetto a tutto il resto del mondo. Una follia che soltanto un
punto di vista ideologico, come quello dei liberisti nostrani, potrebbe
considerare a prova di mercato. E questa è soltanto una delle clausole
dell’accordo con Air France. Dunque, Berlusconi non ha soltanto difeso la
cosiddetta “italianità”, ma ha difeso le regole del mercato e del diritto
internazionale. Ciò risulta anche per quel che riguarda la difesa dei legittimi
diritti sul patrimonio dell’Alitalia, che il governo deve vantare. Secondo
Spinetta, esautorare il governo da questi diritti equivarrebbe a “salvare”
l’Alitalia dal fallimento.
Certo, mandando a fondo le sostanze patrimoniali
della nostra compagnia di bandiera, con la benedizione di chi dovrebbe vantare
diritti di tutela nei loro confronti. Una follia iper-statalista e
iper-colbertista. Si impedisce agli italiani di fare concorrenza in Europa nei
trasporti aerei, con ciò blindando, di fatto, il mercato, non aprendolo, come
vorrebbe la regola aurea del liberismo. Bene, tutto ciò è evidente, ma, per
capirlo e rovesciarne i presupposti, all’apparenza “liberisti” e “mercatisti”
(il che non è un bel complimento), ci vorrebbe più l’umiltà dell’osservatore
ragionevole che il piglio arrogante dell’ideologo.
Per quest’ultimo, se la
realtà smentisce la sua tesi, peggio per la realtà. Per chi, invece, osserva la
realtà e prende atto dei fatti registrabili, facendo poi, alla fine, un’analisi
circostanziata, vale la regola, anch’essa aurea, del matematico Alexis
Carrel: “Poca osservazione e molto ragionamento conducono all’errore; molta
osservazione e poco ragionamento conducono alla verità”.