Alitalia può decollare solo con i due fondi americani

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Alitalia può decollare solo con i due fondi americani

05 Aprile 2007

Nella corsa per la selezione dell’acquirente di Alitalia restano in lizza tre raggruppamenti di imprese: la Banca Intesa – S.Paolo consorziato con la  Air One dell’imprenditore italiano Toto, il raggruppamento composto da Banca Unicredito e dalla Aeroflot russa, e infine i due fondi americani di private equity (TPG e Matlin Patterson). Nelle prossime settimane il Ministero dell’economia dovrà procedere alla valutazione delle offerte,  tenendo conto oltre che delle condizioni economiche e finanziarie, anche delle prospettive industriali che saranno declinate nei piani industriali presentati dai tre contendenti. E’ auspicabile che il Ministero decida attribuendo un peso più rilevante agli aspetti industriali delle offerte piuttosto che alle componenti finanziarie. Alitalia, infatti, viene ceduta ai privati non per fare cassa  – del resto c’è poco da ricavare da un’azienda così disastrata – quanto perché ci si augura che un soggetto capace e finanziariamente solido sia in grado di rilanciare e gestire in maniera efficace un’impresa che offre un servizio cruciale per la competitività del nostro sistema economico. Alla luce di tale obiettivo – massimizzare le prospettive di sviluppo non la cassa – la composizione dei consorzi in gara già offre alcuni elementi per valutare quale tra i tre gruppi sia preferibile.

Il consorzio che comprende il vettore Air One presenta due inconvenienti: il gruppo guidato dall’imprenditore Toto è già molto sollecitato in quanto a capacità gestionale nella sua attuale dimensione, basti ricordare lo scompiglio della sua operatività intervenuto l’estate scorsa per una insufficienza di mezzi rispetto ai voli venduti. Digerire un boccone tanto più grande – nel 2006  Alitalia ha trasportato circa 24 milioni di passeggeri conto i 6,4 di Air One –  potrebbe essere un processo molto lungo se non impossibile. Ci preoccupano, inoltre, le implicazioni concorrenziali di una fusione tutta italiana. Si tenga presente al riguardo che la fusione AIR One–Alitalia interessa soprattutto la trafficatissima tratta Linate-Fiumicino dove i due vettori attualmente dispongono insieme della totalità degli slot disponibili. Non vorremmo che i nostri politici, pur di favorire un campione nazionale siano indotti a sostenerlo chiudendo un occhio sugli aspetti concorrenziali utilizzando il famoso art. 25 della legge sulla concorrenza, che esenta dalla disciplina Antitrust operazioni di rilevante  interesse generale. Con il che ci ritroveremmo con un monopolio di proprietà privata invece che pubblica.

Il coinvolgimento della Aeroflot,  appare problematico in considerazione della proprietà pubblica della società. Il governo russo infatti detiene il 51 per cento delle azioni, il restante 49 per cento è in mano ai dipendenti, e da ciò ne discendono a cascata tutte le nefaste conseguenze di un azionista pubblico. Per esempio, la scelta dei managers non sarebbe sottratta alle influenze politiche, basti  considerare che oggi la società è guidata da Valere Okulov, nominato a suo tempo dal suocero Boris Yeltsin. Sarebbe paradossale che la privatizzazione di Alitalia si risolvesse nella sua sostanziale ripubblicizzazione nelle mani degli oligarchi russi.

I due grandi fondi di investimento TPG e Matlin Patterson si presentano con le carte in regola sul piano industriale per offrire un assetto proprietario stabile e orientato alla ricerca dell’efficienza. Ambedue sono da tempo attivi nel comparto aereo. TPG è azionista importante di Ryan Air, il vettore low cost di grande successo, e di Tiger Airways, una compagnia che opera nell’estremo oriente. Matlin è invece azionista di ATA, aerolinea americana basata a San Francisco recentemente oggetto di una importante ristrutturazione che ne ha determinato il rilancio.  I  due fondi quindi saranno motivati nel loro investimento dalle aspettative di rendimento derivanti dalla riorganizzazione e efficentamento di Alitalia. Se dovessero aggiudicarsi la gara sarebbe un segnale che logiche di mercato hanno prevalso su altre criteri meno trasparenti e condivisibili.